Scientia crucis, scientia amoris

Parola di vescovo

In 1Cor 1,17-2,5 Paolo oppone ‘la sapienza di parola’ e ‘la parola della croce’ (1, 17-18). L’apostolo avverte il pericolo di rendere vana, svuotare la croce di Cristo, preferendo ragionamenti e opere secondo la nostra logica, magari sottolineando solamente il Cristo risorto e relegando la croce a semplice simbolo. Paolo, piangendo, avverte che molti ‘si comportano da nemici della croce di Cristo’ (Fil 3, 18) e afferma ripetutamente che al centro del Vangelo vi è l’annuncio di Cristo crocifisso (1, 23), tanto che non ritenne di sapere altro ‘se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso’ (2, 2). È questo ‘il mistero di Dio’ (1Cor 2, 2). Mistero nel quale croce e Crocifisso si saldano in maniera paradossalmente originale. La croce diventa il trono del re glorioso già risorto, come è evidente nel Vangelo di Giovanni. Non è possibile abbracciare la croce senza il Crocifisso. Per san Paolo la croce ‘rappresenta il punto focale della sua teologia, perché dire croce vuol dire salvezza come grazia donata a ogni creatura’ (Benedetto XVI, 29 ottobre 2008). Gli esegeti fanno notare che questa ‘teologia della croce’ matura in Paolo a seguito dell’esperienza quasi fallimentare all’areopago di Atene. Aveva raggiunto Corinto ‘nella debolezza e con molto timore e trepidazione’ (1Cor 2, 3), perché aveva capito che nel discorso di Atene aveva fatto troppo affidamento sulla sapienza filosofica e retorica, a scapito della sapienza della croce. L’annuncio di Cristo crocifisso, dice Paolo, è ‘scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani’ (1Cor 1, 23). Scandalo (skàndalon = trappola, inciampo, ostacolo) in senso religioso è ciò che ostacola la fede e impedisce di credere. Come è avvenuto per i discepoli ai quali Gesù aveva predetto: ‘Questa notte per tutti voi sarò motivo di scandalo’ (Mt 26, 30). Per i pagani, invece, il Cristo crocifisso è stoltezza (morÈa = insipienza, come un cibo senza sale). Più che un errore, è un insulto al buon senso, totale irragionevolezza, una stupidità. Un Dio che si fa uomo con i nostri limiti è già inaccettabile. Un Dio che muore in croce è logicamente inconcepibile. Invece, dice Paolo, il Cristo crocifisso rivela nella totale impotenza umana la straordinaria potenza di Dio, la grandezza sconfinata di un amore gratuito che è solo di Dio. È quello che ha capito perfettamente il centurione romano, un pagano che, vedendo morire Gesù in croce, disse: ‘Veramente quest’uomo era figlio di Dio’ (Mc 15, 39). È la più alta professione di fede del Vangelo di Marco. È lo stesso Paolo a creare una terminologia tutta sua per dirci che il battesimo inaugura una vita nuova, una vita immersa nel mistero pasquale di Cristo che ci spinge nella fede a soffrire e morire con Cristo, essere sepolti con Cristo, risorgere con Cristo, sedere con Cristo alla desta del Padre. Lo stesso apostolo ci racconta una sua esperienza particolare che vale come principio per ogni cristiano. Dopo aver pregato perché il Signore lo liberasse dalla ‘spina nella carne’ (l’immagine è un particolare della passione di Gesù), si sente rispondere: ‘Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza’. E l’apostolo conclude: ‘Mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo’ Quando sono debole, è allora che sono forte’ (2Cor 12, 9-10). La nostra miseria ha paradossalmente un aspetto positivo, quello ricordato con incontenibile gioia nell’Exultet: ‘Davvero era necessario il peccato di Adamo, distrutto con la morte di Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore!’. L’onnipotenza dell’amore misericordioso crocifisso e risorto si rivela pienamente nella miseria umana. ‘Dio infatti ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti’ (Rm 11, 32).

AUTORE: Domenico Cancian