di Daris Giancarlini
È più che politico, pre-politico oppure postpolitico il messaggio lanciato dal movimento di piazza autodefinitosi – per aspirazione a costituire moltitudine – come “Sardine”? Di sicuro, ha molto a che fare con la comunicazione politica, e dunque con la percezione delle priorità che dal mondo della politica arrivano al cittadino ogni giorno, con ogni mezzo, da ogni tribuna, reale o virtuale.
L’ha capito, subito dopo la prima manifestazione, Matteo Salvini, che ha provato a rintuzzare l’effetto mediatico delle piazze riempite dal movimento che ha per simbolo questo pesce ‘povero’, pubblicando sui suoi frequenti post in Rete foto di gatti che mangiano sardine. O – è l’ultima reazione online del leader leghista – immagini di sarde fritte e panate. Reagisce, Salvini, anche facendo notare che l’unica parola d’ordine che porta in piazza le Sardine è quella “contro” di lui e la Lega.
In effetti, la mobilitazione è avvenuta con un passaparola, organizzato da quattro giovani di Bologna (si dovrebbe smettere di definirli ‘ragazzi’, visto che uno di loro ha l’eta del ministro Di Maio…), che fa leva unicamente sulla volontà di manifestare contro la Lega e il suo segretario.
La maggior parte dei movimenti si mobilita ‘contro’ qualcosa o qualcuno. Ma, nello stesso tempo, chi è contro è anche a favore dell’opposto. Qui chi scende in piazza afferma di rifiutare quel clima di tensione e di rancore sociale che – è l’opinione delle Sardine – la destra e in particolare la Lega di Salvini fomentano in Italia per allargare il proprio consenso.
Così le Sardine che riempiono piazze italiane si propongono come dimostrazione concreta del fatto che, se anche la destra salviniana tende a parlare ‘in nome del popolo’, di tutto il popolo, e a propalare slogan che hanno come punto di partenza gli interessi ‘degli italiani’, esiste una parte di popolo e di italiani che non segue questa onda montante. Ma che, anzi, la avversa.
Un messaggio in controtendenza, un bastone inserito – inaspettatamente ai più, ma che Salvini dimostra di avere ben presente – fra le ruote del meccanismo della rutilante macchina comunicativa populista.
Il fatto che dalle manifestazioni delle Sardine siano bandite le bandiere di partito – alcuni esponenti dei partiti di sinistra tengono a bada a fatica l’istinto di mettere il cappello a questo nuovo movimento sembra costituire uno scudo sufficiente rispetto alla critica, mossa dalle destre, di essere un movimento solo fintamente autonomo. (Davvero non si comprende che cosa possa significare la sottolineatura secondo cui uno degli organizzatori ha collaborato con un amico di Romano Prodi).
Ovvio che l’area politica generale di riferimento delle Sardine sia quella della sinistra (più che del centrosinistra. Magari del vecchio Ulivo…). Ma questo non basta a rendere automaticamente il movimento delle Sardine un fiancheggiatore politico del Pd o di Liberi e uguali.
Questa esperienza è diversa da quella dei “girotondi” di Nanni Moretti, i quali, anche con critiche aspre e profonde ai leader della sinistra di qualche decennio fa (famosa l’invettiva del regista romano sul fatto che “con questi dirigenti non vinceremo mai”), continuavano però a riferirsi a quel sistema di partiti. Avevano cioè, come unico e privilegiato punto di confronto per la propria rappresentanza, la sinistra di quella fase politica.
Verso di essa lanciavano le loro invettive e anche le loro proposte. Le Sardine non appalesano alcun riferimento partitico; casomai sono i partiti della sinistra a dover compiere lo sforzo di capirne motivazioni e istanze, per eventualmente aggregare consenso e non far inaridire questa nuova vena di energia politica.
Per i movimenti che nascono dal basso, il problema non è come o da dove partono: è come, e se, riescono a proseguire il loro cammino. E dove approdano.
Lo dimostra la parabola politica dei cinquestelle, nati anch’essi a Bologna 14 anni fa, diventati poi il primo partito italiano con un consenso rilevante, e attualmente in profonda crisi d’identità. Soprattutto per non aver saputo gestire in modo coerente il passaggio – dolorosissimo, per chi attinge alle metodiche e al lessico populista – dalle promessemirabolanti a uso elettorale alla gestione pratica del governo della res publica.
Dunque, anche le Sardine sono attese a diversi varchi. In molti commentatori interessati si avverte un’ansia quasi di ‘archiviazione’ di questa esperienza: come se fosse innaturale che nell’Italia attuale ci si possa organizzare contro forze politiche momentaneamente all’opposizione.
Il primo, ineludibile varco delle Sardine è quello che esige di passare dal prevalente ‘contro’ al ‘per’, cioè prospettare un approdo politico adeguato e congruente con le aspirazioni di chi va in piazza. Insomma – come ha scritto il priore di Bose, Enzo Bianchi – si tratta di “passare alla politica, per disegnare un orizzonte sociale nuovo”. Energia stanno dimostrando di averne, le Sardine. Il tempo dirà se avranno avuto anche cuore e cervello.