Questi sono i giorni in cui si celebrano i santi e i defunti. Perché però queste due atmosfere, tutte opposte, devono trovarsi una immediatamente dopo l’altra? E cosa c’è di così “cristiano” nell’andare al cimitero a mettere qualche fiore?
Sarà capitato in questi ultimi giorni a ognuno di noi di aver sentito dai microfoni delle nostre chiese parrocchiali una serie di appuntamenti celebrativi che si svolgeranno in questa settimana. Così come avremo notato il lavorio che c’è nei cimiteri parrocchiali o cittadini, l’attenzione e la cura con le quali si rende onore ai nostri fratelli defunti o la cura con le quali le chiese vengono ornate da composizioni floreali, diverse rispetto al solito.
Tutto questo moto preparatorio può, e in qualche maniera deve, ridestare la nostra attenzione sulla celebrazione della solennità di Tutti i santi (1° novembre) e sulla Commemorazione di tutti i fedeli defunti (2 novembre).
Strada sicura da percorrere per dare buona risposta alla nostra attenzione, cioè per comprendere il senso di queste due date particolari che l’anno liturgico ci offre, è aprire una riflessione a partire dalla ricchezza che il Messale romano ci offre per la loro celebrazione. D’altronde, mai si sbaglia quando facciamo nostro l’antico adagio lex orandi lex credendi (la legge della preghiera è la legge della fede) con il quale si afferma che la Chiesa crede ciò che prega.
La festa di tutti i santi
Fin dal IX secolo la Chiesa di Roma celebra la festa di Tutti i santi, nella quale “in un’unica festa si celebrano, insieme ai santi canonizzati, tutti i giusti di ogni lingua, di ogni razza e di ogni nazione, i cui nomi sono scritti nel libro della vita” (Messale romano, p. 609).
Il prefazio di questa solennità afferma che i santi sono “amici e modelli di vita”, due epiteti non di poco conto per la nostra riflessione, anzi con semplicità le parole che introducono la Preghiera eucaristica rispondono al perché nella Chiesa diamo importanza al culto dei santi e al senso della solennità che ci apprestiamo a celebrare.
Se infatti, da una parte, intercedono per noi presso il Padre per sostenerci nel cammino della vita e affinché si compia in noi il mistero della salvezza, dall’altra troviamo in loro un esempio di come il Vangelo può essere vissuto nella nostra esistenza.
Alcuni potrebbero pensare che la santità sia qualcosa per pochi eletti, invece fin dal giorno del battesimo siamo “figli” di Dio, immersi nella vita divina, e ci è stata data la possibilità di perseguire un cammino, sebbene talvolta difficile, per rispondere all’invito che il Signore fece al popolo di Israele: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo” (Lv 19,2).
Celebrare quindi i santi è ricordarci che qualcuno, nostro modello e intercessore, prima di noi ha testimoniato nella quotidianità della sua esistenza che è possi- bile per tutti percorrere la strada che conduce alla santità.
“Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianzanelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa.
Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali” (Papa Francesco, Gaudete et exsultate, n. 14).
Commemorazione dei defunti
Della Commemorazione di tutti i fedeli defunti abbiamo tracce fin dall’antichità; dal XIV secolo circa l’usanza sembra estendersi in tutta la Chiesa di rito romano. Il Messale offre tre differenti schemi di messa, ognuno con il suo formulario e le letture proprie, ma tutti convergenti verso lo stesso senso: pregare per i nostri fratelli defunti nella sicura speranza che, insieme a tutti i defunti, in Cristo risorgeranno nell’ultimo giorno.
Questa celebrazione offre quindi l’occasione per leggere l’evento doloroso della morte alla luce della Pasqua del Signore. Il cristiano nel battesimo ha ricevuto “lo Spirito da figli adottivi”, così da diventare eredi di Dio e “coeredi di Cristo”, partecipando non solo alla sua passione ma anche alla sua gloria (cfr. Rm8,14-23).
Il primo tra i sacramenti ci inserisce quindi nel mistero pasquale di Cristo, mistero che non si è concluso con la morte ma ha aperto a noi le porte della vita eterna. Ciò che da bambini abbiamo vissuto sacramentalmente, per mezzo della salvezza operata da Cristo quale volontà del Padre (cfr. Gv 6,37-40), trova il suo pieno compimento con la morte corporale e la risurrezione nella fine dei tempi.
Ecco allora che le parole del profeta Isaia diventano vere: “Dio eliminerà la morte per sempre” (Is 25,6-9), rendendola una porta di passaggio che conduce al luogo dove poter vedere con i nostri occhi il Signore (cfr. Gb 19,1.23-27a). Infatti nel mistero della morte “la vita non ci è tolta, ma trasformata, e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo” (dal Prefazio dei defunti I), un posto nella santa Gerusalemme (cfr. Ap 21,1-7).
Don Francesco Verzini