Il giorno del grande silenzio: il Sabato santo
Il Triduo pasquale si conclude con i vespri nella Domenica di risurrezione, ma tra la celebrazione della Passione del Signore nel Venerdì santo e la Veglia pasquale della notte, seguita dalle messe nella domenica di Pasqua, c’è un giorno da noi occidentali poco considerato, che è il giorno del grande silenzio: il Sabato santo. Il Messale romano stringatamente dice:
“Il Sabato santo, la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore, meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione” (p. 160).
Effettivamente di questa assenza di celebrazioni ce ne accorgiamo, anche se il posto del silenzio celebrativo è stato sostituito in molti luoghi dalla tradizionale benedizione dei cibi. Non ci accorgiamo del senso profondo di questo silenzio, di questa “assenza” che fa rivivere in qualche maniera l’attesa speranzosa degli apostoli tra la morte del Signore e la sua risurrezione.
Il senso dell’attesa silenziosa
Fu Pio XII a restituire al Sabato santo, con la promozione di una riforma liturgica, il senso dell’attesa silenziosa presso il sepolcro. Per coglierne quindi questo senso che spesso ci sfugge, di un silenzio sì ma non un silenzio vuoto, propongo uno stralcio di un’antica omelia sul Sabato santo che la Chiesa offre alla meditazione nell’ufficio delle letture proprio in questo giorno. “Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli inferi”.
Silenzio liturgico: attesa nella quale Cristo agisce
Nel silenzio liturgico viene espresso dunque l’attesa nella quale Cristo agisce. Egli si immerge negli inferi per scuotere l’umanità, “prendendola per mano”, come afferma l’antica omelia, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà”. C’è una bellissima icona orientale, quella della Discesa agli inferi, in cui Cristo scende spalancando le porte degli inferi ed entra lì come vivente, stendendo le mani verso un uomo e una donna afferrandoli per il polso: sono Adamo ed Eva che, seguiti da una moltitudine di persone, sono sottratti dalla morte per essere condotti al Padre. Ecco dunque attraverso queste due immagini, una letteraria e una pittorica, il senso profondo di questo nostro silenzio.
La tradizione bizantina, invece, dà un ulteriore – e a mio avviso, prezioso – significato a questo Sabato. Infatti nelle Chiese d’Oriente in quel giorno si contempla anche la Madre di Dio contando i suoi encomi funebri.
Perché lei è la prima che resta in attesa, la prima che ha seguito il Signore, la prima a soffrirne per la morte. Dunque queste due prospettive, che non si escludono anzi, possono indicarci lo spirito con cui vivere il Sabato santo: l’attesa dolorosa ma allo stesso trepidante presso il Sepolcro, quando il cuore della Madre sa che il dolore della morte è sconfitto dalla Vita.
Don Francesco Verzini