Ad ognuno che incontri, se gli fai la domanda, quale sia la questione più grave che lo preoccupa oggi, ti risponde che è la questione economica. Si rischia di sprofondare tutti in una condizione di povertà generalizzata senza sapere come tirarsi fuori. Alla stessa domanda chi ha figli vi potrà rispondere che la cosa più urgente è la loro educazione e quando sono cresciuti quella di trovargli un lavoro. Ci sono madri e padri che tremano nel fine settimana perché i figli vogliono andare in discoteca e non sono mai tranquilli finché non sono ritornati e paventano che facciano uso di droga e incontrino cattive compagnie. Ci sono mille altre preoccupazioni. Ma una ci era sfuggita ed ora qualcuno ce la ricorda. Sono le donne appartenenti alla Assemblea femminista “DeGenere” che in un comunicato inviato a tutti i giornali informano “sulla situazione attuale sulla questione della pillola Ru486 nelle Asl regionali”. Denunciano, in questo comunicato, che “dopo tutte le battaglie fatte, dopo la delibera regionale di fine luglio, nessuna ratifica ufficiale è seguita, quindi, di fatto, la situazione è gravissima”. E perché sarebbe così grave la situazione? Perché la donna che vuole abortire scegliendo la via della pillola Ru486 deve farlo con tre giorni di ricovero ordinario. Ci viene da dire che tre giorni non sono poi tanti rispetto ad una vita che si spegne per sempre. Ma non serve, perché le “DeGenere” lamentano che nelle Asl ci sono troppi obiettori di coscienza e questo impedirebbe la piena attuazione della legge 194. Come se gli obiettori non fossero compresi nella legge stessa! Questa non sarebbe pienamente attuata se fossero impedito ai medici e agli infermieri di fare obiezione di coscienza, prevista, appunto dalla legge. Il comunicato “DeGenere” si sofferma a descrivere l’itinerario della Regione dall’Atto di delibera delle linee guida di luglio constatando che fino ad oggi non si è fatto nulla per attuare la possibilità di somministrazione della Ru486 in Day hospital. La descrizione è intitolata “La grande farsa” e conclude che “più tempo passa, per l’applicazione del Day hospital, più viene negato il diritto all’aborto e al libero e incondizionato accesso alla pillola Ru486”. Sembra un grido di “libertà o morte”, come i prigionieri di guerra. E con tristezza dobbiamo constatare che si tratta non di libertà o morte in alternativa, ma di libertà dell’uno (a) e morte dell’altro. Sembra cruda questa osservazione, ma non saprei che altro dire a persone, donne, che parlano di “diritto” all’aborto. Ma non è scritto in tutti i libri decenti che il vero primo diritto è alla vita e che la libertà di uno non può essere esercitata a danno di nessuno? Potremmo umanamente comprendere se in certi casi di sofferenza, di abuso, di violenza e simili, qualcuno invocasse, contro voglia, con rammarico, l’applicazione estrema della legge 194, ma che si parli di “diritto” all’aborto è un segno di superficialità e di insensibilità. Nella prima stesura avevo usato di getto altre parole, più dure, che ho corretto. Per amor di patria e di tante donne che con le femministe “DeGenere” non hanno alcuna cosa da spartire.
Ru486: “DeGenere” alza la voce
Editoriale
AUTORE:
Maria Rita Valli