“Non può bastare la sola parrocchia ad assolvere il compito della parrocchia; la parrocchia rimane sempre necessaria ma non più sufficiente”. Con queste parole, sintetiche ma fin troppo chiare, mons. Valentino Grolla ha aperto la sua relazione nel corso dei lavori della II Congregazione generale del Sinodo della nostra diocesi a Roccaporena.Il tema trattato dall’illustre sacerdote è attualissimo, complesso e, per certi aspetti, anche difficile da accettare come hanno dimostrato alcuni interventi, peraltro isolati, che sono seguiti all’esposizione di mons. Grolla. E’ tuttavia nostro personale convincimento che ogni sforzo vada fatto, e al più presto, per rendere pienamente ed organicamente operanti le unità pastorali che, giova ricordarlo, hanno alla loro base motivazioni teologiche e non quelle che alcuni, semplificando troppo, identificano nel ridotto numero di presenze di preti. Fare parrocchia oggi non è facile per i grandi cambiamenti socio-culturali che interessano l’attuale società e il territorio in cui essa è radicata. Per queso le unità pastorali sono un traguardo, anche se da realizzare rispettando la necessaria gradualità e procedendo a verifiche periodiche, cui tendere concretamente con una paziente opera di “mentalizzazione” anche per il ruolo che assumeranno di “nuovo soggetto pastorale”. Esse uniscono stabilmente e organicamente alcune parrocchie presenti in un determinato territorio, inteso come spazio missionario, per realizzare la nuova evangelizzazione attraverso un’azione pastorale unitaria che sappia valorizzare la ricchezza dei diversi apporti dei presbiteri, dei laici e dei consacrati, attraverso uno stile sinodale. L’Unità pastorale appare come una realtà che può meglio interagire con il contesto umano di un territorio e può far sì che la comunità cristiana sia presenza viva di dialogo, d’annuncio, di servizio e di testimonianza. Le unità pastorali, nella nostra diocesi (138 parrocchie), sono, in via di sperimentazione, ventotto: sono “un modo nuovo d’essere Chiesa” dove tutti possano vivere la comunione. Esse hanno lo scopo di rivitalizzare la funzione della parrocchia e di collocare ogni comunità cristiana in una prospettiva tipicamente evangelizzatrice all’interno di un territorio; esse non sono un’operazione di una diversa organizzazione pastorale, ma sono il mettere in atto iniziative che favoriscano e ravvivino i rapporti di comunione tra i cristiani delle singole parrocchie, e risveglino in tutti l’impegno missionario per un annuncio efficace e credibile del vangelo. Non sarà possibile, d’altro canto, una pastorale organica nelle varie comunità se non dentro un progetto pastorale diocesano, dove obiettivi, organismi e sussidi siano opportunamente coordinati. Le unità pastorali debbono avere, come quadro di riferimento, una visione di Chiesa popolo di Dio, comunione, comunità fortemente ordinata all’evangelizzazione e spazio di diffusa ministerialità e corresponsabilità pastorale. Il punto di partenza necessario per il sorgere delle unità pastorali è proprio la corresponsabilità pastorale: esse non si possono immaginare, progettare o costituire senza una specie di patto costitutivo in cui i laici siano, con i presbiteri, soggetti corresponsabili nella comunità ecclesiale. Le unità pastorali, sono una nuova forma di servizio ecclesiale che richiede la corresponsabilità di tutti i battezzati e la presenza di nuove figure laicali capaci, attraverso un iter formativo appropriato di ricomporre in unità fede, celebrazione, vita. In buona sostanza, le unità pastorali non debbono essere finalizzate ad esigenze interne delle stesse unità pastorali ma a rivitalizzare il territorio con una pastorale programmata, più qualificata e più missionaria. La ricca relazione di mons. Grolla non mancherà di toccare le nostre coscienze e suscitare riflessioni importanti in ciascuno di noi: il Signore ha mandato infatti la sua Chiesa per annunciare agli uomini la salvezza, impegnandola tutta in questa missione. In tal senso il nostro Sinodo diocesano sottolinea che la missione evangelizzatrice è compito di tutti i membri della Chiesa. Sono da superare i pregiudizi che tendono a demandare ad alcune categorie di fedeli la responsabilità della testimonianza diretta del vangelo. In vista di una presenza culturale consistente, lo spirito di missionarietà deve coinvolgere contemporaneamente tutti i cristiani nella comune responsabilità di annunciare il vangelo, e deve portare le comunità cattoliche a non cedere alla tentazione di chiudersi e di arroccarsi su se stesse imparando a camminare insieme con la lucidità della meta comune.
Roccaporena: seconda Congregazione generale del Sinodo diocesano
Unità pastorali: "un modo nuovo per essere Chiesa"
AUTORE:
Aldo Calvani