Rivolte al carcere di Capanne. Le cause secondo chi vi svolge volontariato

Nell’aprile scorso il Garante dei detenuti Stefano Anastasia, in una relazione alla Terza commissione consiliare della Regione Umbria, aveva già evidenziato le principali criticità delle carceri umbre: la crescita della popolazione penitenziaria abbinata alla scarsità delle risorse pubbliche disponibili; condizioni di vita e di salute dei detenuti contrassegnate dalla difficoltà di accedere alle visite specialistiche e agli esami diagnostici; la mancanza lamentata dai detenuti di attività di reinserimento e di un adeguato sostegno alle iniziative culturali.

È in questo clima che si sono venuti a creare, nei giorni scorsi, due gravi episodi di rivolta all’interno della casa circondariale di Capanne a Perugia.

“Il problema è che i detenuti non hanno molte possibilità di lavorare. Se non lavorano, non hanno quei 50/100 euro al mese per pagarsi delle piccole cose che vogliono comperarsi: un caffè, una pasta in più, le sigarette, i vestiti. Non essendo autonomi economicamente si sentono sempre nel bisogno. In più va aggiunto il sovraffollamento, la reclusione, il caldo. Quindi, in queste condizioni, basta poco per provocare il caos”.

Questo il commento sulla vicenda di suor Carla Casadeiche da anni presta il suo servizio in carcere con con l’Associazione perugina di volontariato. Nei mesi invernali suor Carla si reca nella sezione femminile per un laboratorio di cucito insieme ad un’altra volontaria che è modellista.

“Andiamo per due ore alla settimana e facciamo fare alle detenute dei piccoli lavoretti”. Durante tutto l’anno poi si reca nella sezione maschile per i colloqui personali. “Le attività lavorative – continua Casadei – vengono concesse solo ad alcuni tipi di detenuti, nel fine pena o per pene lunghe. Però non sono organizzate in maniera continuativa, ma per turni.

Ecco quindi che per 2 mesi svolgono la mansione di scopini, portavitto (coloro che portano il cibo nelle celle), bibliotecari, cuochi. Però su circa 300 detenuti, a lavorare saranno una ventina e per un tempo limitato. Bisognerebbe poi coinvolgere più aziende esterne. Dentro il carcere di Perugia c’è una piccola attività aziendale che viene dall’esterno, la Plurima, che fa fascicolazione di documenti, ma sono coinvolti solo 3 detenuti”.

È dello stesso parere padre Francesco Bonuccicappellano del carcere di Capanne, intervistato da Umbriaoggi.news. “Penso che queste persone hanno bisogno di essere più impegnate durante la giornata perché passano la maggior parte del tempo senza far nulla e questa è la cosa più urgente. Dopo tanto tempo senza avere niente da fare anche la persona più normale impazzisce” ha dichiarato Bonucci.

Cosa ne pensano invece politici ed istituzioni? “La soluzione è costruire nuovi carceri e non certo far uscire i delinquenti, sia chiaro” ha detto Emanuele Prisco (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce).

Valentina Russo