di Angelo M. Fanucci
A onta delle maligne punture di spillo di mons. Viganò, nonostante le bordate pseudo-teologiche di De Mattei, avanza, grazie soprattutto a Papa Francesco, quel cammino proteso all’unità dei credenti in Cristo al quale, da parte della Chiesa cattolica, il Concilio Vaticano II ha dato il via. A suo tempo io ho preso la scossa quando, pregando nella messa la V Preghiera eucaristica, da poco introdotta, ho letto: “Tu ci sostieni sempre nel nostro cammino, soprattutto in quest’ora in cui il Cristo, tuo Figlio ci raduna per la Santa Cena”. Dio mio!
Avessimo chiamato l’eucaristia “Santa Cena” noi, quando studiavamo teologia al Laterano, ci avrebbero cacciato immediatamente, a calci nel sedere, gridandoci dietro: “Fuori! Ereticacci protestantacci, figli di Satanasso!”. Già. C’era una volta l’ecumenismo inteso come “ritorno all’ovile”: il desiderio espresso a suo tempo da Gesù (“Che siano una cosa sola”) si sarebbe realizzato solo quando quelle pecorelle smarrite che erano le Chiese cristiane non cattoliche avessero bussato alla porta di quell’ovile di Pietro che, aprendosi, le avrebbe riammesse nella “vera Chiesa”.
Quell’ecumenismo oggi non esiste più. Oggi ogni Confessione cristiana, a cominciare da quella cattolica, è chiamata a riprovare a ricollegarsi con le altre. Come?
Innanzitutto riportando ai suoi termini essenziali la formulazione del proprio patrimonio di fede, cioè recuperando l’essenza del messaggio evangelico con un attento sforzo di separazione tra quello che appartiene al cuore di quel messaggio e come esso in una certa epoca è stato interpretato, utilizzando le categorie della cultura vincente in quella certa epoca.
Più che un passo avanti verso Roma, tutte le confessioni (compresa la nostra) devono fare un passo indietro rispetto alla formulazione della verità rivelata che esse hanno elaborato; verso la verità essenziale, anteriore a quando questa o quella categoria culturale se n’è appropriata. Il fissismo, per cui si continua a fare e a credere quello che si è sempre fatto e creduto, è morto e sepolto. Penso all’eucaristia.
Bellissima l’interpretazione che dell’eucaristia ci hanno dato le categorie aristotelico-tomiste: la “trans-sustanziazione”: alle parole consacratorie tutta la sostanza del pane cede il posto alla sostanza del corpo di Cristo, tutta la sostanza del vino cede il posto alla sostanza del sangue di Cristo. Solo gli accidenti restano: il colore, il peso, la consistenza, gli “accidenti” del pane e del vino rimangono identici, ma la sostanza cambia. Bellissima elaborazione, ma “sostanza” e “accidenti”, categorie fondamentali per la nostra cultura, ad altre culture non dicono niente. Allora?