In questo brano, Luca ci racconta un episodio cardine nell’economia generale dei Vangeli sinottici (Matteo, Marco, Luca). Esso rappresenta un passaggio molto importante, in cui Gesù ‘cambia marcia’. Nella vita di Gesù ci sono stati alcuni momenti decisivi, che hanno segnato un passaggio fondamentale nella predicazione e nella presa di coscienza del proprio cammino. L’affermazione di fede da parte dei discepoli è una spinta decisa nel cammino verso Gerusalemme che Luca ci sta raccontando, strada in cui Cristo troverà la morte di croce. Non a caso questo episodio è posto al centro dei Vangeli sinottici. Ciò lo spinge ad approfondire il livello del suo annuncio salvifico, facendo una profezia e prefigurando alla comunità dei discepoli gli eventi che stanno per succedere. E questo li sconvolge. Vorremmo porci sulla linea di quanto detto la settimana scorsa e approfondire il tema della conoscenza. Il rapporto personale con Gesù, lo stare con lui (il mandato principale del Vangelo di Marco, vedi 3,14-15), necessariamente comporta una consapevolezza sempre più profonda delle cose del mondo, delle persone che ci circondano e dei fatti che succedono. Si entra in una sintonia tale con Cristo che si finisce per vedere quello che lui vede, conoscere come lui conosce, sentire come lui sente. Si aprono scenari imprevisti, orizzonti nuovi e non sempre gratificanti, situazioni di cui dover portare il peso non è sempre facile. Gesù aveva avvertito: “Siete pronti a bere il calice che io bevo?”. No, non lo siete, anche se magari qualcuno aveva pensato di sì, anzi lo aveva espressamente chiesto, quel calice. È vero, la tavola avvicina e facilita la conoscenza. Ma con Gesù questo comporta talvolta delle sorprese: qualche volta potrebbe rivelare una croce da portare, Gesù potrebbe chiedere di portarla insieme a lui, e questo potrebbe non fare parte dei nostri progetti.
E se è vero che la tavola facilita la conoscenza di Gesù e dell’altro, ciò è vero solo nella misura in cui attorno a essa c’è una comunità, grande (Chiesa) o piccola (famiglia) che sia. Lo Spirito svela e si rivela nella comunità (“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”, Mt 18,20). Solo una comunità allenata alla condivisione e alla frazione del pane è capace di affrontare una conoscenza che talvolta può essere anche scomoda, perché una comunità del genere è capace di dimenticare se stessa in favore dell’altro: rinnega te stesso, smetti di considerarti il fulcro di ogni azione, di centrare e parametrare tutto su di te, prendi la tua croce ogni giorno (come sottolinea solo Luca), e solo così ti salverai. Nella vita di coppia è possibile sperimentare proprio questo. Ogni coppia che ha messo il proprio cammino nelle mani del Signore ha potuto sperimentare che uscire dalla “contem- plazione del proprio ombelico”, con tutti i suoi bisogni, ha portato gli sposi a vivere una dimensione dell’amore sconosciuta e inaspettata: quella del dono reciproco e della generatività in tanti campi della vita. Quante situazioni di difficoltà si risolverebbero se solo si lasciasse perdere la ricerca spasmodica dell’amore di sé a ogni costo, anche al costo della vita dell’altro! Rinnegare se stessi non è la richiesta di un Dio terribile che vuole annientare l’uomo, ma significa essere chiamati a percorrere la strada della libertà di amare gli altri, perché finalmente, alzando gli occhi da me, li vedo e riesco a pensare di amare fino a dare la vita. In questo percorso di allontanamento da sé, l’esperienza della maternità e della paternità sono la possibilità che ci è data di amare senza metri di giudizio, senza limiti, senza possesso. Non è facile, ma, come Gesù, dovremmo imparare a saper “stare accanto” senza inutili pretese di amore. Questa prospettiva può aiutarci anche a sopportare la croce, i momenti di sofferenza che non mancano di certo nelle nostre famiglie, ma che possono assumere il sapore del “segno ultimo di una vita piena di amore” come Gesù ha insegnato. Anche il Salmo 63 ci parla di questo santuario in cui il fedele entra per cercare Dio (“Così nel santuario ti ho cercato”). Ma quello che per gli ebrei era il Tempio, Gesù lo trasforma nel mondo intero. Alla samaritana che pone la domanda di quale luogo fosse deputato all’adorazione di Dio, Gesù risponde che è venuto il momento di adorare Dio in Spirito e Verità (Gv 4,20-23). Un amore senza limiti e senza confini, senza barriere, non relegato in un luogo specifico, ma diffusivo di sé come il profumo dell’olio donato dalla peccatrice, come il soffio dello Spirito. Un amore che permea talmente di sé tutte le cose che, quando si comincia a conoscerlo e riconoscerlo nelle cose e nelle altre persone, allora non fa più paura nemmeno la corce.