Risale al 5 luglio 1944 la nascita dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci) per iniziativa di un gruppo di attivisti motivato dall’esigenza di sviluppare un percorso sintonizzato con la tradizione cristiana. Nella seconda metà degli anni Settanta si costituì una sezione anche in Assisi (cooptata successivamente in quella perugina), seraphica civitas che tra l’altro ospitò presso il Sacro Convento un convegno nazionale partecipato e denso di fermenti riflessivi e prospettive.
Domenica 30 giugno scorso è stata rivitalizzata la sezione diocesana, secondo le aspirazioni di don Vittorio Peri, in accordo con il vescovo Sorrentino che ha manifestato il suo convinto incoraggiamento. Agile, per numero di componenti e ruoli svolti, risulta il Consiglio direttivo formato dai seguenti operatori sanitari: Sandro Elisei (presidente), Simonetta Brozzi (vice presidente), la giovane Daniela Elisei (segretaria), Antonio Frascarelli (consigliere), don Vittorio Peri (assistente ecclesiastico).
La sezione diocesana dispone di una sua sede presso l’Istituto Serafico, dove si è tenuta la riunione costitutiva. “Non è stato delineato ancora un singolo e peculiare percorso, fermo restando che gli scopi dell’Amci sono scolpiti nello Statuto nazionale”: è quanto chiarisce il presidente Sandro Elisei, specializzato in Psichiatria e psicoterapia analitica, autore di un approfondito libro fresco di stampa e appena pubblicato: Mi sono perso di vista. Ritrovare sentieri smarriti (Il Rubino editore).
Lo stesso dichiara quanto segue: “Persiste tra noi associati locali la condivisione di mettere al centro dell’interesse professionale la persona… Si sente un’assoluta necessità di porre l’attenzione non solo alla malattia, ma al malato in tutta la sua complessità e soprattutto alla dimensione etica e spirituale. È necessario meditare sui numerosi volti della disabilità: fisica, psicologica e sociale. È per questo motivo che abbiamo chiesto di poter istituire la sede della sezione presso l’Istituto Serafico”.
Una domanda ci sorge spontanea. In un mutato contesto storico, l’associazione – pur con la sua specifica identità diocesana – non potrebbe essere tacciata di una impronta integralista? Immediata la risposta di Elisei: “Se si riflette senza pregiudizi o ideologismi, non ci possono essere distinzioni tra i vari operatori che svolgono la professione di assistenza alla persona che soffre. Integralismo? Rispondo con le parole del nostro Vescovo che ha ricordato, in occasione dell’atto costitutivo, l’origine greca della parola cattolico, che vuol dire visione d’insieme: coloro che hanno veramente una visione d’insieme relativamente a uno stesso problema, non possono essere mai integralisti”.