Il 2015 dovrebbe essere un anno di grandi mutamenti nell’assetto istituzionale e amministrativo dell’Umbria, tra la riforma delle Province avviata dal governo Renzi e le elezioni regionali in programma tra qualche mese. In un quadro di incertezze e confusione. Soprattutto per le due Province, con 700 dipendenti da ricollocare, competenze da definire, servizi a rischio (non secondari, come quelli per 140 scuole e 3.000 km di strade), e soldi che potrebbero mancare anche per pagare gli stipendi. In Regione si chiude una legislatura che il presidente del Consiglio regionale Eros Brega, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, ha definito “la più complessa dell’intera storia dell’Umbria”.
Nella tarda primavera si voterà, ma non si sa ancora con quale legge elettorale. I consiglieri passeranno dagli attuali 30 a 20: un problema in più per i partiti, attualmente impegnati nella ricerca della complicata formula vincente per le ambizioni personali e di lista. E intanto continua la crisi economica, con 137.000 persone che, secondo la Cgil, “vivono una forte sofferenza occupazionale: 51.000 disoccupati, 23.000 giovani che non studiano e non lavorano, 22.000 cassintegrati e 41.000 lavoratori estremamente precari”. E la Regione avrà meno soldi da spendere.
La presidente Catiuscia Marini, nella conferenza stampa di fine anno, ha detto che la legge di stabilità e le varie manovre per ridurre la spesa pubblica nel 2015 faranno mancare nelle casse della Regione una somma stimata in circa 90 milioni di euro. La prossima legislatura poi potrebbe (il condizionale è d’obbligo) essere l’ultima per la Regione Umbria. Si torna infatti a parlare di “macroregioni”. Due parlamentari del Pd hanno presentato una proposta di legge di riforma costituzionale (dunque un cammino lungo) per ridurre il numero delle Regioni da 20 a 12, con uno schema che prevede l’accorpamento di Umbria, Toscana e provincia di Viterbo. Una macroregione dell’Italia Centrale, della quale però si parla da almeno vent’anni.
Intanto però è partita la riforma delle Province e delle città metropolitane. Dall’ottobre scorso non ci sono più consiglieri provinciali eletti dai cittadini, ma le due Province restano, con i loro palazzi di rappresentanza e le loro strutture. Ci sono due nuovi presidenti (il sindaco di Foligno Nando Mismetti a Perugia e il sindaco della Città dell’acciaio Leopoldo Di Girolamo in provincia di Terni) che non percepiscono indennità aggiuntive per questo incarico. Ci sono però anche 1.350 dipendenti che aspettano ancora di sapere quale sarà il loro futuro.
La riforma varata dal Governo prevede che per 700 di loro si trovi un’altra collocazione; in pratica, che vengano destinati ad altre Amministrazioni pubbliche, che vadano in pensione, o che finiscano in “mobilità”. Ma nessuno ha ancora deciso il loro destino, anche perché resta da definire chi si occuperà dei servizi attualmente svolti dalle Province. Ambiente, trasporti, scuole, strade e pari opportunità restano di loro competenza; ma per la formazione professionale, il turismo, l’agricoltura, sviluppo economco e altre funzioni dovrebbero subentrare Comuni e Regioni, con modalità e tempi da fissare.
Incertezze e confusione che hanno spinto dipendenti e sindacati a clamorose azioni di protesta: a Perugia i lavoratori hanno fatto irruzione nelle sale della Regione dove si teneva la conferenza stampa di fine anno della presidente Marini, mentre a Terni hanno simbolicamente occupato la sede della Provincia. Alla fine di dicembre si è svolta una riunione alla quale hanno partecipato i nuovi Presidenti delle due Province, l’assessore regionale Fabio Paparelli, sindacalisti, dirigenti dell’Anci (Associazione nazionale Comuni) e dell’Upi (Unione Province). Sono state formulate alcune ipotesi. Dei 700 dipendenti in esubero, la Regione ne potrebbe assorbire 130-150. Tra questi ci saranno 50 precari che avranno il contratto prorogato per un anno. Altri 80 potrebbero andare a rinforzare gli organici carenti degli uffici giudiziari, e altri 120, i più fortunati, entro il 2016 potranno andare in pensione. Per i rimanenti si spera di trovare una collocazione in uffici periferici dello Stato, come la Soprintendenza ai beni culturali. Ma c’è anche il problema di 160 dipendenti delle Comunità montane formalmente soppresse da alcuni anni, e che sarebbero dovuti passare alle Province.
Per tutti resta il quesito di chi pagherà gli stipendi da gennaio. Il Governo ha dimezzato il numero dei dipendenti delle Province e dal 1° gennaio 2015 ha anche dimezzato le risorse per pagare loro gli stipendi. Le casse delle due Province umbre – come hanno ricordato i loro Presidenti – sono praticamente vuote, con difficoltà anche ad assicurare il riscaldamento delle scuole e il rifornimento del sale per le strade in caso di neve. Ma anche la Regione e i Comuni, che dovrebbero assumere parte del personale in esubero, non se la passano bene. La nuova legge di stabilità, secondo alcune stime dei sindacati, ha tagliato 160 milioni per gli enti locali dell’Umbria. Insomma, la riforma delle Province tanto attesa, invocata o temuta, forse ridurrà gli sprechi, ma per ora è certo che ha aumentato la confusione.