La cultura dominante, oggi, trasmette alle nuove generazioni un messaggio che rischia di essere nebuloso e fuorviante, frutto di una società “liquida”, segnata dal rischio e dall’incertezza: tutto è vano – sembra dire –, non serve prepararsi al lavoro e darsi delle mete in un mondo in cui la verità viene compromessa e prevalgono i furbi e i potenti. Questo “potere”, poi, si identifica soprattutto con la possibilità di accesso ai mezzi di consumo e ai posti di comando, che finiscono col mettere in primo piano le esigenze del “singolo” e non quelle del bene comune. Il fatto che il lavoro sia il fondamento della nostra Costituzione oggi fa problema. Dirlo sembra ingenuo e superficiale, ma per le nuove generazioni è così, perché il lavoro è diventato un’emergenza nazionale e molti – specialmente i più attrezzati – se ne vanno via dall’Italia (cf. Rapporto Censis 2013, pp. 31-42). Giuseppe De Rita, nelle “Considerazioni generali” del 47° Rapporto Censis (2013), ha indicato nella “connettività” l’“anima segreta” dei grandi processi sociali portatori di nuove opportunità, spesso vanificate dai particolarismi e dalle preconcette contrapposizioni. Non si tratta della connessione tecnica fine a se stessa e aperta a tutte le deviazioni della virtualità autogestita, ma di pensare al futuro dello sviluppo digitale come strumento di connessione reale tra tutti i soggetti sociali portatori di opportunità per lo sviluppo del bene comune. Con la venuta di Papa Francesco, il paziente lavoro di tessitura dei rapporti tra le parti sociali, svolto dai giuslavoristi come Marco Biagi – ucciso 12 anni fa a Bologna dalle Brigate rosse – assume una luce ulteriore. Nella esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 226), infatti, il Papa presenta il problema del “conflitto” ecclesiale e sociale come realtà da affrontare, per costruire un anello di collegamento tra le parti e introdurle in un rinnovato processo di confronto, dove sussiste una comunione nelle differenze. Si tratta, in sostanza, di inserire nella dinamica conflittuale un principio indispensabile per costruire l’amicizia sociale: “l’unità è superiore al conflitto”. Lavorare e dare la vita per ricomporre in unità ciò che l’egoismo ideologico frantuma è la più efficace testimonianza d’amore che l’essere umano possa esprimere. Questa è la via indicata da Papa Francesco, non solo per riformare la Chiesa, ma il mondo intero. Papa Bergoglio, in aula Paolo VI il 20 marzo, davanti a una folla di fedeli provenienti dalla diocesi di Terni-Narni-Amelia, ha messo a fuoco il lavoro in rapporto alla dignità della persona. “Il lavoro – ha detto il Papa – riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità”. Pertanto, una società che non riesce ad assicurare il lavoro alle nuove generazioni non ha fondamenta solide, e rivela un forte indice di conflittualità generazionale. Dal secondo dopoguerra in poi, noi adulti abbiamo “mangiato” più di quanto abbiamo prodotto, e non ci siamo preoccupati di alimentare le risorse del nostro tesoro nazionale come la famiglia e l’educazione delle nuove generazioni. Il Papa si è chiesto: “Che cosa possiamo dire di fronte al gravissimo problema della disoccupazione che interessa diversi Paesi europei? È la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo che si chiama denaro! Pertanto, i diversi soggetti politici, sociali ed economici sono chiamati a favorire un’impostazione diversa, basata sulla giustizia e sulla solidarietà”. Per questo c’è ancora bisogno della Pasqua!
Riforma del lavoro sulla base della persona
AUTORE:
† Ernesto Vecchi
Amministratore apostolico di Terni - Narni - Amelia