Preceduta da un pesante lancio di razzi di Hamas dalla Striscia di Gaza e dagli attacchi aerei di risposta da parte dell’Aviazione israeliana, l’8 luglio 2014 Israele dava il via all’operazione “Margine protettivo”.
L’obiettivo era porre fine al lancio di razzi e distruggere i tunnel dei miliziani scavati da Gaza per penetrare in territorio ebraico e colpire i civili.
Cinquantuno giorni di guerra – la terza in sei anni – che provocarono, secondo il rapporto del Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu, la morte di 2.251 palestinesi, di cui 1.462 civili (tra i quali 299 donne e 551 bambini) e 789 combattenti. Diecimila i feriti.
Un anno dopo, le ferite di questo conflitto sono sotto gli occhi del mondo. Visibili come le macerie delle 18 mila strutture distrutte o severamente danneggiate. Poche le case riparate. Fonti locali e organismi internazionali operanti a Gaza stimano che siano almeno 100 mila i gazawi costretti a vivere in alloggi di fortuna e oltre 8 mila i senzatetto, circa il 5% dell’1,8 milioni di abitanti che sovrappopolano i 362 chilometri quadrati della Striscia.
Gaza vive una continua emergenza umanitaria. I finanziamenti (5 miliardi di dollari) promessi dai donatori internazionali durante la conferenza al Cairo dell’ottobre 2014 arrivano lentamente, così come i materiali per la ricostruzione, che Israele permette di far entrare attraverso il valico di Erez. Secondo la Banca mondiale, nella Striscia si registra il più alto tasso di disoccupazione al mondo, pari al 40%, che sale al 60% tra i giovani che sono la maggioranza della popolazione.
La produzione agricola è diminuita del 31% solamente nell’ultimo anno. Con il collasso economico dietro l’angolo, sono sempre di più i giovani che, in cerca di un lavoro rischiano la vita, scavalcando le recinzioni al confine con Israele. In totale sono oltre 300 mila i giovani e i bambini che attualmente hanno bisogno di assistenza psicologica per riuscire a superare i traumi e le sofferenze causate dai conflitti.
Save the Children ha diffuso in questi giorni uno studio sui bambini della regione. L’89% soffre ancora di forti paure; più del 70% dei piccoli teme un altro conflitto; e ancora: 7 bambini su 10 hanno incubi notturni, nelle zone più colpite, percentuale che raggiunge la quasi totalità nelle città di Beit Hanoun (96%) e Khuza (92%).
Stallo anche nel processo politico con Hamas che continua a governare la Striscia ma ora c’è lo Stato islamico (Isis) interessato a insediarsi a Gaza, come testimonierebbero alcuni attentati contro Hamas. Non si registrano sviluppi positivi nemmeno nel dialogo con l’Autorità palestinese (Anp) e con l’Egitto.
“Non è cambiato nulla – dice con amarezza padre Raed Abusahlia, direttore di Caritas Jerusalem – a Gaza si cammina tra le macerie e la delusione della gente è palpabile. Quartieri interi distrutti. Ci vorranno almeno 5 anni per rimettere in sesto quello che è stato distrutto in 51 giorni. Dei 5 miliardi di dollari promessi dai Paesi donatori, non si è visto nulla. E anche la solidarietà della gente comune è finita.
Come se la guerra fosse finita e tutto fosse tornato a posto. Ma non è così. Nessuno qui nutre più speranze per un futuro migliore. La nostra stessa comunità cristiana, circa 1.300 persone di cui poco meno di 200 cattolici, se mai dovessero aprire i valichi di confine, lascerebbe la Striscia subito… Serve aiuto soprattutto ai più piccoli. I bambini di Gaza sono malnutriti. La situazione è davvero difficile, e a questo si aggiunga il caldo, le precarie condizioni igieniche, la mancanza di acqua e di energia elettrica che viene erogata per circa 4 ore al giorno. Dopo un anno, non basta ricostruire Gaza, ma la speranza della sua gente, per evitare conflitti futuri”.