“Non trovo parole che siano sufficienti a ringraziarvi per il lavoro che avete fatto, di sicuro vi chiedo di trovare il modo per continuare il vostro impegno”. Così mons. Mark Sopi, amministratore apostolico di Prizren, ha accolto i due vescovi umbri che nei giorni scorsi hanno visitato il Kosovo. Quella presso la casa di mons. Sopi è stata la prima tappa di mons. Chiaretti e mons. Bottaccioli appena arrivati nell’ex provincia jugoslava, in segno di amicizia per il loro confratello vescovo. La stessa attenzione che nel giugno del 1999 ebbero i volontari Caritas, guidati da don Lucio Gatti e Massimo Mazzali, appena entrati nel paese devastato dalla guerra, dalla violenza etnica e dai bombardamenti americani. Fu proprio mons. Sopi a indicare loro la zona di Klina e, in particolare, la parrocchia di Zllokucane, dove il pastore – don Luch – è un nipote del vescovo stesso. Forse era un modo per tenere d’occhio da vicino i volontari italiani o per indirizzarli in una zona particolarmente delicata del Kosovo. Dopo tre anni di lavoro e di impegno senza interruzioni da parte delle Chiese umbra e toscana, mons. Sopi teme l’ipotesi di una chiusura del campo Caritas e in questo senso ha voluto lanciare un messaggio forte ai due vescovi in visita. Lo ha ripetuto anche nel corso della solenne celebrazione con cui gli abitanti della parrocchia di Zllokucane hanno salutato la delegazione italiana. Ha voluto ringraziare di nuovo i volontari e i collaboratori della Caritas, la Chiesa umbra, i benefattori conosciuti solo dal Signore. Ma ha chiesto anche di continuare l’impegno del campo di Radulac.
Chiaretti e Bottaccioli, da parte loro, non hanno nascosto la soddisfazione per il lavoro della Caritas. Della richiesta di rimanere ancora in Kosovo, sentita dalla popolazione di Klina e dintorni, si fanno interpreti anche le autorità civili che attualmente governano la zona. Bawol Cabiri è amministratore municipale della cittadina per conto delle Nazioni Unite e ha un’idea ben chiara del lavoro delle organizzazioni non governative. “Di solito – afferma – penso che le Ong internazionali lavorino un po’ come la televisione Cnn: quando c’è un evento loro si trovano subito sul posto, ma se ne vanno via poco dopo, quando ancora è troppo presto per lasciare. La Caritas non è certo una di queste, ma anzi è ancora qui dopo oltre tre anni e questo è molto importante per la municipalità di Klina. Si è instaurata una forma di collaborazione sempre più stretta fra la popolazione e la Caritas, che viene identificata con l’Italia stessa”. Sulla medesima lunghezza d’onda c’è Rame Manaj, presidente kosovaro della municipalità di Klina dopo l’assassinio del suo predecessore. “Il contributo della Caritas è stato ed è molto importante – spiega – soprattutto di quella italiana che ci è stata maggiormente vicina. Grazie a loro abbiamo un centro giovanile, una scuola primaria, scuolabus per bambini e tanto altro. Vogliamo ringraziare i volontari italiani anche per tutti i progetti di ricostruzione che hanno lasciato bellissimi ricordi tra la popolazione”. Ora spetta alle diocesi dell’Umbria e della Toscana la decisione sul futuro del campo di Radulac.
Cattolici in Kosovo
Il Kosovo non è diocesi, ma l’amministratore apostolico mons. Mark Sopi dal suo vescovato di Prizren (legato alla Chiesa macedone) sta lavorando alacremente per creare una rete ecclesiale e pastorale per l’evangelizzazione della regione. I cattolici sono una minoranza albanese, al momento difficile quantificare. Nove su dieci degli oltre due milioni di kosovari sono albanesi e gran parte di loro sono di religione musulmana. I serbi (circa l’8 per cento della popolazione) sono cristiani ortodossi. I cattolici, grazie anche all’aiuto della Caritas e di altre organizzazioni ecclesiali, cercano di farsi promotori di un’evangelizzazione vicina alla gente, diversamente dalla propaganda musulmana che prima di occuparsi di case e scuole punta a costruire una moschea in ogni villaggio. Radulac: dal 1999 campo di lavoro, preghiera, festa e di paceDall’estate del 1999 ad oggi sono centinaia i giovani e meno giovani che sono passati nel campo di Radulac. Un piccolo complesso di abitazioni in muratura, servizi, tende da campo e gazebi allestito accanto alla parrocchia cattolica di Zllokucane, non lontano dalla cittadina di Klina, nella zona centrale del Kosovo. Per tre anni è stato il cuore pulsante delle tante attività sostenute dalle Caritas di Umbria e Toscana, inizialmente affiancate anche da quella della diocesi di Latina.
Dopo la fase iniziale della ricostruzione materiale (più di 300 sono state le case edificate dai volontari grazie alla generosità delle comunità cristiane italiane), oggi si pensa anche a favorire la ricostruzione del tessuto sociale con opere e attività pastorali animate dai volontari. Dal 2000 in poi, in particolare, il campo di Klina ha accolto centinaia di giovani provenienti dall’Umbria e da altre regioni italiane, offrendo loro l’esperienza di un ‘campo estivo di lavoro’ accanto ai kosovari. Nelle ultime due settimane, ad esempio, il gruppo dei volontari era composto da circa sessanta persone, oltre la metà delle quali provenienti dalla diocesi di Gubbio. Eugubini e umbertidesi, guidati dal direttore della Caritas diocesana don Benito Cattaneo e dal parroco di Cristo Risorto di Umbertide, don Luigi Lupini, hanno voluto ripetere un’esperienza forte di volontariato e di solidarietà già vissuta negli anni scorsi. Il campo di Radulac è coordinato da Massimo Mazzali e Cristina Giovannelli, che si trovano in Kosovo fin dal giugno del 1999, mentre la ‘guida spirituale’ è affidata a don Lucio Gatti che vola nella ex Jugoslavia ogni volta che può o deve per necessità. La giornata dei giovani volontari inizia alle 7,30 del mattino, con la sveglia e la recita delle lodi. Preghiera e meditazione caratterizzano l’intera giornata, visto che nella piccola cappellina è sempre esposto anche il Santissimo Sacramento. Dopo la colazione si assegnano i compiti e i lavori. Non solo la manodopera edile che ha restituito le abitazioni ai più poveri, agli anziani e alle famiglie con soggetti disabili, ma anche l’animazione in mezzo a bambini e ragazzi, l’aiuto all’attività pastorale della parrocchia di Zllokucane, l’assistenza sanitaria. Al termine di una giornata di lavoro, anche duro e faticoso, ci sono ancora energie per organizzare serate di animazione sotto il grande gazebo al centro del campo Caritas, dove spesso si ritrovano anche i ragazzi kosovari della zona.