di Daris Giancarlini
Ci sono parole che non sento più pronunciare. O sento citare a sproposito. Una di queste è “responsabilità”.
Concetto dal sapore quasi arcaico, ormai frantumato, polverizzato, nelle pieghe di una società sempre meno incline ad assumersi pesi e impegni, propensa casomai ad attribuire ad altri la responsabilità di comportamenti o atteggiamenti per i quali si debba pagare un qualunque dazio. Ho fatto questa riflessione dopo aver registrato l’ennesimo fatto di cronaca con protagoniste in negativo maestre che all’asilo avrebbero maltrattato, insultato e addirittura picchiato dei bambini.
Ma succede anche che genitori facciano irruzione a scuola per aggredire maestri o professori che hanno ‘osato’ mettere un brutto voto, o semplicemente richiamare all’ordine i loro figli. La maestra che alza la voce, o le mani, su un bimbo, in pratica rifiuta la fatica e la responsabilità di essere, per il tempo che lo ha in carico, la sua ‘seconda mamma’.
Il padre, o la madre, che insulta un professore perché ha valutato negativamente il proprio figlio, trasferisce su altri la responsabilità di non aver seguito con la necessaria attenzione il percorso scolastico del suo ragazzo. È uno scaricabarile continuo, dettato forse dal narcisismo imperante dei tempi attuali, dove tutti, almeno sui social, si sentono – e vogliono apparire – perfetti e irreprensibili. Ma anche, il più possibile, liberi da gravami e felicemente irresponsabili.