Come ogni settimana, rientro a Roma, ma stavolta siamo all’indomani dell’elezione del nuovo Sindaco, e chiedo a me stesso quali cambiamenti troverò. Scherzo, naturalmente: Marino non ha ancora fatto in tempo a insediarsi. E poi, per vedere qualche differenza (nel bene o nel male) più che il Sindaco bisognerebbe cambiare i vigili urbani, i tramvieri, i tassisti, i netturbini, i bancarellari, gli osti, e insomma tutti i romani; quelli che, se non ci fosse l’impedimento delle scale, parcheggerebbero la macchina anche sull’Altare della patria (e prima o poi ci riusciranno), buttano rifiuti sul selciato di strade e piazze che hanno visto duemila anni di storia e ci portano i cani a fare i bisogni, si accoltellano per una squadra di calcio, comprano e vendono cocaina.
Roma non è solo questo, ma è anche questo, e per cambiarla ci vuole ben più che la buona volontà del Sindaco. Come per ogni altra città e paese. Ci vogliono investimenti di lungo periodo, e qui non ce n’è più il tempo e non ce ne sono i soldi. Ci vuole organizzazione, lungimiranza, impegno collettivo. A Roma e dappertutto, decenni di edificazione sfrenata e speculativa hanno degradato il territorio, creato quartieri-lager, mostruosità urbanistiche. Chi può dire: io non c’entro? “Democrazia è partecipazione” cantava Giorgio Gaber, e si potrebbe aggiungere: cittadinanza è sentirsi corresponsabili, prima che sentirsi consumatori che reclamano benessere e servizi e si indignano se qualcuno non glieli dà. Dare, prima che ricevere; e per dare non intendo solo pagare le tasse, che pure è necessario. I tanti elettori che non vanno più a votare non si aspettano più nulla dalla politica. Forse si dovrebbero mettere allo specchio.