Regioni: un bel pasticcio

La settimana scorsa ho dedicato queste righe a un confronto fra lo stile, e lo spirito, della vita politica italiana e di quella tedesca, a tutto favore di quest’ultima (dal dopoguerra in poi, si capisce).

Questa volta non parlo più della politica tedesca, non ne so abbastanza; parlo di quella italiana. Prendo lo spunto da un recente editoriale del Corriere della Sera, scritto dallo storico Ernesto Galli Della Loggia. Si riferiva ai danni che alla vita pubblica italiana ha portato la riforma costituzionale del 2001, la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha allargato in modo sconsiderato l’autonomia delle Regioni e degli enti locali e indebolito il Governo centrale. L’analisi dello studioso è impietosa, ma è condivisa da molti e – per quello che vale il mio pensiero – la condivido anch’io.

Voglio però fare due aggiunte relative ad aspetti non toccati dal prof. Galli. La prima è che quelle nuove norme, oltre che improvvide, sono anche scritte male tecnicamente, cosicché da allora la Corte costituzionale spreca la maggior parte del suo tempo a risolvere i conflitti di competenze fra Stato e Regioni.

La seconda è un segreto di Pulcinella: quelli che hanno proposto, scritto e sostenuto in Parlamento quella riforma costituzionale – il centrosinistra al governo fra il 1996 e il 2001 – non lo hanno fatto perché pensassero che fosse la cosa giusta per l’Italia: non lo era, e lo sapevano Il fatto è che erano terrorizzati dai successi della Lega di Bossi – che in quegli anni si batteva per il cosiddetto federalismo – e avevano studiato una furbata: scavalcare la Lega di Bossi sul suo terreno (il federalismo, appunto), per toglierle spazio politico ed elettorato. Un’altra delle “furbate” di quel periodo: c’era già stata quella di Bertinotti che, togliendogli il voto, aveva fatto cadere il primo governo Prodi. Ma la furbizia è una cattiva consigliera. Infatti il centrosinistra ha poi perso le elezioni politiche del 2001.

Quindi, se lo scopo della riforma del Titolo V era elettorale, non ha funzionato. Ma all’Italia è rimasta una riforma mal fatta, che non è il minore fra i suoi tanti problemi. Non si dovrebbero mai fare le cose per un calcolo opportunistico; ma se poi si sbagliano anche i calcoli, è una tragedia.