Domenica 17 aprile si vota per decidere sulla possibilità, per le piattaforme già operative al largo delle coste italiane, di poter continuare – oppure no – a estrarre gas e petrolio dal fondo del mare fino all’esaurimento del giacimento.
Si tratta di un aspetto specifico e tecnico della partita energia che, però, si è trasformato in tensione politica – innanzitutto dentro il Pd – sull’attuale Governo, alla luce dell’ultima bufera mediatico-giudiziaria relativa alle trivellazioni sulla terraferma, che ha coinvolto l’ex ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi.
Nel decreto del Presidente della Repubblica emanato il 15 febbraio scorso è stato stabilito il quesito che troveremo sulla scheda: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, ‘Norme in materia ambientale’, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)’, limitatamente alle seguenti parole: ‘per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale’?” (il grassetto è nostro).
Tradotto in linguaggio corrente, il quesito chiede se l’elettore vuole che, quando scadranno le concessioni (e se saranno rinnovate), vengano fermate le attività estrattive dei giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane, anche se ci fosse ancora gas o petrolio.
L’area interessata dal referendum è la fascia di mare che si estende dalla costa alle 12 miglia (22 km ca.) nella quale sorgono 21 delle 66 trivelle esistenti in area nazionale (7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche, 1 in Veneto). Il referendum non riguarda la terraferma, le acque al di là delle 12 miglia né le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi che sono già vietate.
Il referendum è stato proposto dalle Regioni interessate, che sono Basilicata, Campania, Calabria, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto.
In estrema sintesi, questi gli effetti: se vince il NO (leggi qui le ragioni del NO), la situazione non cambia. Se vince il SÌ (leggi qui le ragioni del SI), le piattaforme oggi attive continueranno a lavorare fino alla normale scadenza della concessione, o dell’eventuale proroga già ottenuta, ma poi, in assenza di proroga, anche in presenza di giacimenti ancora produttivi, andranno smantellate.
Il dibattito si è concentrato sui temi dell’impatto ambientale, impatto occupazionale, impatto energetico e sulle strategie energetiche dell’Italia, ma si è esteso anche sulle problematiche più generali relative all’ambiente e agli stili di vita (anche se non direttamente interessati dal referendum), sulla scorta delle riflessioni proposte dall’enciclica di Papa Francesco Laudato si’.
La posizione di alcune delle diocesi interessate
Riportiamo alcune prese di posizione circa il referendum da parte di vescovi e diocesi interessate dal fenomeno delle trivellazioni petrolifere marittime.
“È importante – affermano i competenti organismi pastorali di Fano – sottolineare la necessità che tutti partecipino al referendum popolare”. Invitano quindi a “votare sì e, soprattutto, a modificare gli stili di vita di ciascuno di noi contribuendo, a partire da subito, ad avere più cura dei nostri territori e del nostro mare”.
Da Gaeta si ricorda una recente affermazione di mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei: “Non c’è un sì o un no da parte dei Vescovi al referendum”, ma deve piuttosto crearsi un sereno dibattito.
Per la Conferenza episcopale della Sardegna, “la salvaguardia del creato, che comprende sempre anche la dimensione dell’ecologia umana e la promozione del lavoro per l’uomo, posto dal Creatore a custodire e coltivare la terra, è un impegno e una responsabilità di tutti, cittadini e istituzioni”. In ogni caso, “la ricerca tecnologica di energie rinnovabili e sempre meno inquinanti è una priorità non più procrastinabile”.
Per la Commissione creato della diocesi di Taranto, il rischio dell’attività di trivellazione “è che, oltre al danno ambientale e sulla salute delle popolazioni, possano prodursi effetti negativi sul piano occupazionale per diversi comparti, quali il turismo, la mitilicoltura, la pesca, il patrimonio culturale. C’è poi la questione dei cambiamenti climatici… Nel caso di vittoria del sì, non ci sarebbero nell’immediato effetti negativi sul piano occupazionale, poiché i lavoratori, con lo scadere nel tempo delle concessioni, potrebbero essere gradualmente impegnati in altre attività, magari legate alle energie rinnovabili”.
Netta la posizione espressa dall’ufficio Problemi sociali di Trani, in una Nota dal titolo Difendiamo il nostro mare: “Chiediamo a tutti di informarsi sul quesito referendario, e di recarsi alle urne il 17 aprile per votare sì al referendum”.
(sull’Agenzia SIR commenti dalle diocesi e dall’associazionismo cattolico)