di Pier Giorgio Lignani
Era già successo ai tempi del referendum voluto, e perso, da Renzi. Lui diceva che la riforma sarebbe stata una svolta storica e avrebbe risolto tutti i problemi dell’Italia; gli avversari dicevano che, al contrario, sarebbe stata la fine della democrazia. Non era vera né l’una né l’altra, solo colossali esagerazioni propagandistiche.
Così è adesso con i progetti economici del Governo. Per Di Maio e soci sarà una svolta storica, niente di meno che l’“abolizione della povertà”; per gli avversari, la strada che ci trasformerà nel Venezuela, dove l’inflazione ha raggiunto il quarantamila per cento.
Ancora non sappiamo bene come sarà congegnato il famoso reddito di cittadinanza, ma, a quanto pare, la spesa complessiva dovrebbe essere circa il doppio di quello che già lo Stato spende per il “reddito di inclusione”, istituito dal governo Gentiloni e destinato a scomparire per essere assorbito nella nuova formula.
Senza contare tutti gli altri trasferimenti di ricchezza, diretti e indiretti, che da decenni si attuano nel quadro di quello che chiamiamo Stato sociale. Certo, c’è sempre spazio per fare meglio; e magari l’attuale Governo ci riuscisse!
Ma non si può dire che stia arrivando – nel bene o nel male – una rivoluzione. Così come non si può dire che sia una grande innovazione fare spesa sociale in deficit, perché lo Stato italiano lo sta facendo da almeno settant’anni, ed è ben per questo che oggi è uno degli Stati più indebitati nel mondo.
Una tempesta in un bicchiere d’acqua, come al solito. Solo su un punto non c’è esagerazione, ed è quando si dice che dal punto di vista dell’equilibrio finanziario l’Italia sta camminando sul filo del rasoio, e quindi non si può giocare sul deficit. Questo problema dovrebbe essere affrontato dagli attuali governanti con realismo e pacatezza.
Sparate del tipo “i mercati se ne faranno una ragione” non servono a nulla, perché i mercati finanziari non rispondono agli ordini della politica, ed è giusto che sia così. Se non si capisce questo, si rischia davvero di finire come il Venezuela. Meno male che c’è l’Europa che ce lo impedisce. Finché le diamo ascolto.