E’ stupefacente la facilità con la quale accettiamo le letture fatalistiche della storia. Ancora più stupefacente la facilità con la quale ci rassegniamo di fronte alle disgrazie altrui. “Ne uccide più la lingua che la spada?”: erore (come dicono ar Tufello)! La classifica è da aggiornare: ne uccide più la rassegnazione che la lingua. E pensare che a tutti noi è stato detto: “Quando avete fatto tutto quanto c’era da fare, mettetevi seduti e dite: siamo servi inutili”. E’ stato detto a tutti. Quando avete fatto tutto. Integralismo Doc? No, è la vita, rivisitata dalla luce di Colui che venne in mezzo a noi soprattutto perché proprio intorno a questa parola, “vita”, si addensava il buio più totale, e la gente la sprecava come se niente fosse. E’ stupefacente la rapidità con la quale, di fronte ad un disabile, ci rassegniamo a nome suo. La facilità con la quale diventiamo razzisti senza accorgercene. Bracciante ascolano trasferito a Ciampino, G. B. aveva una figlia di vent’anni, gravemente poliomielitica, C., e le diceva: “Figlia mia, un piatto di minestra ce l’hai … cosa vuoi di più dalla vita?”. Razzismo, stavolta davvero Doc, anche senza nessun certificato scritto. Introiettato inconsciamente e rivestito di amore autentico. Che vuoi di più dalla vita? Dentro di sé G. B. aveva accettato (per amore, amore vero) la divisione del mondo dei ventenni in due grandi blocchi: quelli che a vent’anni possono e debbono vivere (progettare, esultare, scoraggiarsi, programmare, ritirarsi, amare, tradirsi …) e quelli che, consumato il piatto di minestra, possono prendersi tutto il tempo che vogliono per contemplare il fondo del piatto. Rassegnazione: una parola a doppio taglio. Oscena un attimo prima, improcrastinabile un attimo dopo che uno ha fatto tutto quello che doveva fare.