di Daris Giancarlini
Gli italiani passano dal rancore alla cattiveria, e i politici reagiscono cercando nuovi modi non per affrontare i problemi che hanno determinato questo passaggio, ma per controllare e accrescere il consenso.
Dal 52° Rapporto del Censis (l’istituto che da sempre ‘fotografa’ situazioni e tendenze sociali in Italia) è arrivata una diagnosi poco rassicurante su come è cambiato il Paese da un anno a questa parte. Gli aggettivi usati per descrivere l’Italia di fine 2018 vanno da ‘disgregata’ a ‘impaurita’ e ‘incattivita’, per concludere con ‘impoverita’ e ‘anagraficamente vecchia’.
Insomma – spiega il Censis – un Paese in declino, senza sicurezze e soprattutto senza speranze per il futuro, con l’assenza di prospettive a farla da padrona. La motivazione del passaggio dal rancore alla cattiveria viene individuata nella ‘delusione’ della maggioranza degli italiani per aver visto volatilizzarsi, e mai concretizzarsi, le occasioni della ripresa economica dopo una crisi durata dieci anni.
Insomma, nessun bis di quel miracolo italiano che adesso è diventato un incubo. Secondo il Censis, tutto questo si condensa nella rottura del patto tra cittadini e politica. Già, la politica: le conclusioni del Censis sembrano non aver pesato minimamente sull’atteggiamento di praticamente tutti i soggetti in campo.
Più che reazioni di allarmata preoccupazione, si sono registrate riflessioni – neanche troppo velate – su come, dopo aver sfruttato la fase del rancore degli italiani, ora si possa fare altrettanto con la loro cattiveria.
“Abbiamo evitato proteste di piazza” disse qualche anno fa Beppe Grillo motivando l’utilizzo, soprattutto in Rete, di un linguaggio spesso infarcito di espressioni sopra le righe (continua a leggere sull’edizione digitale de La Voce).