È stato presentato a Roma il rapporto Mercati di guerra (ed. Il Mulino), quarta tappa del percorso di ricerca sui conflitti dimenticati avviato nel 2001 da Caritas italiana, Famiglia cristiana e rivista Il Regno. L’edizione 2012 si concentra sulla centralità della dimensione economico-finanziaria nel determinare situazioni di tensione politica e conflittualità armata. Testo completo sui siti www.caritasitaliana.it e www.conflittidimenticati.it.
388 conflitti in corso. “Dal 2010 al 2011 il numero totale di conflitti nel mondo è passato da 370 a 388. Particolarmente significativo l’aumento nel numero di guerre: dai 6 casi del 2010 ai 20 del 2011”. A rendere noti questi dati del rapporto è stato Paolo Beccegato, responsabile Area internazionale Caritas italiana, secondo il quale le situazioni più gravi sono in Iraq, Afghanistan, Pakistan, Sudan, Somalia, Messico e Colombia, mentre in Siria si sta consumando una gravissima tragedia umanitaria.
“La disponibilità di risorse – ha aggiunto – è divenuto il fattore scatenante di nuovi conflitti internazionali e interni”. Oggi 145 nazioni nel mondo devono condividere le proprie risorse idriche con altri Paesi e “utilizzano bacini idrici internazionali (263 in tutto il mondo)”. Una “condivisione forzata” che negli ultimi 50 anni ha prodotto 37 conflitti. “Oltre 50 Paesi – ha proseguito Beccegato – nei prossimi anni potrebbero entrare in dispute violente sulla gestione di laghi, fiumi, dighe e acque sotterranee”. Ulteriore fattore scatenante il prezzo reale del cibo, “sostanzialmente raddoppiato” negli ultimi 5-6 anni, e quello del petrolio, “oggi quasi il doppio rispetto al 1982” e maggiore “del 150 % del livello di inizio millennio”. Principale causa di questi aumenti è “il ruolo giocato dagli speculatori e dai mercati finanziari mondiali”.
In particolare, ha precisato il relatore, “le crisi alimentari del 2008 e del 2011 e l’aumento del prezzo delle derrate in tutto il mondo” hanno contribuito all’esplosione “delle primavere arabe e della guerra civile in Costa d’Avorio, e hanno provocato scontri e rivolte ad Haiti, in Camerun, Mauritania, Mozambico, Senegal, Uzbekistan, Yemen, Bolivia, Indonesia, Giordania, Cambogia, Cina, Vietnam, India e Pakistan”. Drammatico il coinvolgimento dei civili, in particolare minori: più di un miliardo di bambini e adolescenti (dati Unicef) vive in scenari di guerra; circa 18 milioni sono costretti ogni anno a spostarsi a causa dei conflitti armati. Tra il 13% ed il 25% dei minori coinvolti dalle guerre soffre di stress post-traumatico (dati Oms).
Responsabilità dei media. Sul ruolo dei media si è soffermato don Antonio Sciortino, direttore di Famiglia cristiana. “Un’informazione addomesticata o silente è un prezioso alleato dei signori della guerra”, ha avvertito, mentre un giornalismo “etico e di denuncia” può costituire “un autentico strumento di pace”. Oggi “in Siria i principali nemici del regime di Assad sono proprio i giornalisti, per cui è difficile entrare nel Paese per documentare le stragi di civili che avvengono nel silenzio generale”, mentre in Somalia dall’inizio del 2012 “sono stati uccisi 15 cronisti somali”.
Per Sciortino, “l’intolleranza verso la libertà di stampa” è “cresciuta in tutto il mondo. Secondo Reporters sans frontières, dall’inizio di quest’anno 21 giornalisti hanno pagato il proprio impegno con la vita e 171 sono stati arrestati”. Una cultura di pace si crea, secondo il direttore di Famiglia cristiana, anche “con un’informazione che eviti di spettacolarizzare le guerre e si schieri dalla parte delle vittime”. “Se si perde l’idea di Dio si perde l’idea dell’uomo” ha affermato Gianfranco Brunelli, direttore de Il Regno. Per questo è urgente “una risemantizzazione dei valori morali e dei diritti umani”. Meritevoli di riflessione i concetti di “guerra giusta” e “ingerenza umanitaria” e il “ruolo pacificatore degli organismi internazionali”, ma anche “il confronto tra fedi religiose come strumento di prevenzione dei conflitti e promozione della pace”, richiamato da Benedetto XVI in Libano e più di recente dal Sinodo dei vescovi.
Il ruolo della Chiesa
Nel Rapporto è inserito un sondaggio Swg sulla percezione degli italiani rispetto ai conflitti. Risulta che solo il 12% non è in grado di indicarne alcuno (erano il 20% nel 2008). Cresce la percentuale di chi considera la guerra un “elemento evitabile” (79%). Determinante il ruolo di denuncia della Chiesa, ma anche il suo impegno sul piano educativo, a livello di responsabilità personale dei credenti. In conclusione, servono: una regolamentazione dei mercati finanziari e della fiscalità, il rispetto dell’eticità negli scambi commerciali e nei rapporti debitori tra Stati, la sostenibilità ambientale e sociale.