A distanza di 36 anni dallo storico incontro di preghiera per la pace convocato da san Giovanni Paolo II ad Assisi con 62 capi religiosi rappresentanti delle più grandi religioni del mondo, è sempre più chiaro che non si trattava di un evento ma piuttosto dell’inizio di un processo generato dallo Spirito e intravisto dal Concilio.
Si trattava sicuramente di un fatto inedito, che da alcuni settori fu travisato come un azzardo che tradiva la retta dottrina; ma a cui la storia tutta rende merito per aver dato inizio a quel percorso che toglie ogni parvenza di connivenza, giustificazione o benedizione della violenza, in tutte le sue declinazioni, da parte delle religioni.
Negli anni che sono seguiti si è consolidata la convinzione per cui la posta in palio non è una semplice presa di distanza quanto un rifiuto netto, con tanto di fondamento teologico interreligioso. Cosa che ha portato Papa Francesco ad affermare nell’incontro promosso dalla Comunità di Sant’Egidio il 25 ottobre a Roma: “La pace è nel cuore delle religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio”.
In questo senso, le fedi e le rispettive comunità sono chiamate a essere costruttrici di pace nel vasto cantiere del mondo. Al punto tale che quella scintilla partita dal cuore dell’Umbria sembra aver incendiato il mondo: ad Abu Dhabi, a Nur Sultan e in questi giorni in Bahrein, sono i Capi di Stato e i leader di comunità musulmane a invitare i leader delle religioni e Papa Francesco a partecipare a congressi, incontri e simposi in cui si discute sul bene della pace e si sottoscrivono patti, dichiarazioni e impegni. Insomma, l’azzardo diventa stile e cerca di influenzare il cammino della storia.
Naturalmente, questo non significa che non ci siano più conflitti armati, atti di terrorismo e violenza che si nascondano subdolamente anche sotto una coltre religiosa; ma diventa sempre più difficile, e sempre più spuntano opposizioni interne, segnali di rifiuto e una nuova coscienza mondiale che non accetta chi benedice gli operatori di morte e i loro strumenti. Si va piuttosto affermando uno jus pacis che rifiuta il ricorso alla violenza e alla guerra per risolvere gli inevitabili conflitti iscritti tanto nella natura quanto nella storia stessa dei popoli.
È una pagina completamente nuova della Storia, che non solo non si arrende di fronte agli scenari di guerra e violenza, ma può più credibilmente rivolgersi alle istituzioni sostenendo che “la guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male” (enciclica Fratelli tutti , 261).