Quando Gheddafi ha detto che l’Europa diventerà musulmana, e che di Gesù vale quello che è scritto nel Corano, non ha espresso un parere personale, ma un dato fondamentale della fede islamica. Un dato condiviso da tutti i musulmani e profondamente assimilato senza alcuna ombra di dubbio nella profonda coscienza collettiva dei popoli musulmani. È bene che i cristiani lo sappiano, per evitare equivoci e falsi concordismi. Questo dato si può ritrovare nel “catechismo” di religione musulmana in lingua italiana (La via del musulmano. Versione di A.D. Piccardo, ed. Usmi – Unione studenti musulmani italiani, Milano 1990). Non solo, ma questa convinzione è il pilastro di quella fede, secondo la quale Gesù è un profeta, santo e onorato, nato miracolosamente dalla Vergine Maria, ma la cui missione si è esaurita nell’annuncio della venuta di Muhammad (Maometto), ultimo e sigillo dei profeti. Questa è la loro – per noi inaccettabile e falsa – convinzione. E, naturalmente, da ciò nasce la volontà di fare proselitismo e la fiducia che i cristiani diminuiranno sempre di più e i musulmani cresceranno fino a diventare l’unica religione del mondo.Purtroppo questa informazione non è percepita dal mondo occidentale cristiano, che si ritiene al riparo dalla diffusione musulmana, sicuro della sua supposta superiorità e soprattutto indifferente nei confronti delle certezze della fede, sostituita per gran parte dalla certezza che tutto è relativo: la dittatura del relativismo. In realtà si è aperta da tempo la stagione, detta della globalizzazione, dentro la quale si è perduto il centro e il senso del cammino della civiltà, per cui ognuno si costituisce come unico punto di riferimento, provocando lo scontro di civiltà, foriero di tempeste sociali e violenze. La possibilità di sopravvivenza di una civiltà umana condivisa, che consenta lo spazio vitale della libera espressione di soggetti culturali plurimi, è data dalla pratica del dialogo, come è stato indicato dal Concilio e dagli ultimi pontefici, compreso Benedetto XVI. Nella corretta prassi del dialogo c’è lo spazio necessario per testimoniare la propria fede, spiegare le ragioni della speranza, annunciare l’evangelo di Cristo, purché i cristiani prendano coscienza della loro vocazione, con serietà e coraggio. Tutto ciò non è una chiamata alla crociata, ma una chiamata a recepire la serietà della situazione, considerando le condizioni economiche e sociali, lo sviluppo demografico delle nazioni del mondo e tenendo anche conto dei metodi che alcuni vorrebbero imporci, come quello usato da Gheddafi. Molti hanno detto: come si è permesso, a Roma, capitale del cattolicesimo mondiale, riconosciuta da tutti i cristiani come luogo sacro del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, di proporre ai cristiani, compreso il Papa, anche se non nominato, di convertirsi all’islam? Se un cristiano avesse osato fare una cosa del genere in una qualche città a maggioranza musulmana, cosa sarebbe successo? Eppure dobbiamo prendere atto che Gheddafi, nel fare questo, agli occhi dei fedeli musulmani ha reso un servizio alla sua fede e alla fede del suo popolo, per il quale la diffusione della religione è una priorità anche per l’azione politica. I cristiani ne prendano atto con realismo e responsabilità. A meno che non siano disposti a vendersi per il petrolio e gli affari. Gheddafi è tutt’altro che folklore.
Quello di Gheddafi non è folklore
AUTORE:
di Elio Bromuri