Tra coloro che daranno il ‘punto di vista missionario’ sull’informazione al festival internazionale del giornalismo a Perugia (1-5 aprile) sarà presente padre Giuseppe Caramazza, fondatore dell’agenzia specializzata di news Catholic Information Service for Africa. Lo abbiamo intervistato. Nel viaggio del Papa in Africa, la massima attenzione l’ha avuta la polemica sul preservativo… ‘La polemica sul preservativo è stata montata ad arte. Da una parte, non si vuole tener conto dell’esperienza africana; e dall’altra si è voluta spostare l’attenzione da altri temi proposti dal Papa. Eppure, tutte le grandi organizzazioni sanitarie che finora hanno sostenuto il preservativo come mezzo principale nella lotta contro l’Aids si stanno ricredendo. L’esperienza dimostra che la metodologia migliore è quella di educare a un uso responsabile della sessualità’. Tuttavia… ‘Tuttavia il messaggio più importante che il Papa ha lanciato in Africa non è stato quello del preservativo. Benedetto XVI ha invitato l’Africa a prendere coscienza delle proprie competenze, capacità e ricchezze. Ha detto all’Africa di alzarsi e incamminarsi verso lo sviluppo usando le proprie capacità e rifiutandosi di svendere le risorse alle grandi multinazionali straniere che la stanno soffocando. Questo è un messaggio che non è stato riportato dalla stampa mondiale. I grandi media sono parte di un meccanismo finanziario che risponde a criteri di interesse politico ed economico. Questi non permetteranno mai che un messaggio che sfida i loro interessi trovi una risonanza mondiale’. La stampa e le agenzie missionarie rappresentano una fonte di informazione alternativa alle grandi agenzie. Che influenza hanno avuto nel sistema dei mass media laici italiani? ‘L’informazione missionaria è un’informazione di nicchia. Chi vuole conoscere l’Africa, non può fare a meno di Nigrizia, ma questo non vuol dire che Nigrizia sia ascoltata quando lancia sfide reali alla società italiana. Questo è vero di tutte le varie testate missionarie che costellano il nostro Paese. Da una parte c’è il problema che molta informazione missionaria non è vera informazione, ma una comunicazione fortemente emotiva per chiedere un sostegno dal pubblico. Là dove la comunicazione missionaria è veramente giornalismo e coscientizzazione, si vede come i grandi media siano attenti sia nel riprendere la notizia ‘ quando interessa ‘ o nell’ignorarla, quando non risponde ai criteri delle loro proprietà. Se un missionario viene ucciso, Misna viene citata. Se si mette in luce una legge iniqua, i grandi media non lo riportano. Occorre rendersi conto che i media sono un’industria e non una libera circolazione di informazioni’. Il ‘volto’ dell’informazione missionaria in italia è quello di missionari europei, per cui si pensa sempre ad un flusso di informazioni che va dal Paese di missione all’Europa. Le agenzie missionarie sono utilizzate anche dai giornali e tv locali? E i giornalisti sono solo missionari occidentali? ‘Ci sono elementi che danno speranza, e altri che indicano una crisi. La maggior parte dei comunicatori missionari è europea, anche nei Paesi del Sud. Ci sono missionari e laici del Sud che si danno da fare in questo campo, ma non sono sufficienti. Sarebbe bene riuscire ad avere più giornalisti del Sud a parlare a nome del Sud del mondo, sia nel loro contesto che verso di noi. I grandi network nazionali usano i missionari quando serve, ma non sono capaci di portare il loro punto di vista al pubblico. Un esempio viene dall’impegno della Rai in Africa. Quando la Rai aprì un suo ufficio a Nairobi, in Kenya, lo fece rispondendo ad una campagna sostenuta dai missionari italiani. La stessa sede a Nairobi fu aperta grazie al contributo di tanti missionari. Allo stesso tempo, non sempre il messaggio che ne proviene corrisponde al modo in cui la gente del Sud vorrebbe essere rappresentata. Non sempre questo messaggio verrebbe condiviso dai missionari. La realtà è quindi complessa. Nella confezione di una notizia sono molti i fattori che condizionano contenuto e modalità. Il giornalista che lavora per un editore italiano sa che deve rispondere a interessi locali. Sa che la lettura dei fatti dei missionari è parziale. Sa che l’autocomprensione della popolazione locale è spesso incompleta. Sa che la sua visione e capacità di lettura sono imperfette. Il risultato è sempre un’informazione imperfetta’. E per il futuro…? ‘Il superamento di questo divario potrà avvenire solo quando più comunicatori italiani si apriranno alle tematiche del Sud con competenza. E cioè con la conoscenza delle lingue, delle culture, di esperienza di vita, e così via. Questo vorrà dire anche usare meglio le fonti missionarie, informate e capaci di dar voce agli ultimi’.
Quello che i soliti mass media non dicono
Festival giornalismo. Il ruolo spesso controcorrente dell'informazione di stampo missionario
AUTORE:
Maria Rita Valli