Per apparire ai devoti della sua dea come un antico sacerdote pagano, protagonista d’una solenne liturgia penitenziale, gli mancava solo l’infula, l’ampia banda di lana bianca che in Grecia e a Roma avvolgeva il capo dell’orante e scendeva lungo il corpo in due liste laterali. Sulla sua faccia si leggevano insieme il rammarico per un recentissimo passato e la determinazione per un futuro che voleva essere imminente.
Ha attraversato un ampio tratto del campo di gara con la mano destra protesa in avanti e in alto, nel gesto tipico dell’oratore che chiede silenzio ai crocchi di persone che qua e là accendono di chiacchiere i vari punti del Foro: ma davanti alla sua mano ci sono gli spalti di uno stadio bellissimo, sulle gradinate del quale la gente non osa gridargli quello che dentro sentirebbe suo dovere gridargli. Il suo è il gesto di chi chiede perdono.
No, non ci sarà nessun discorso, nessun appello, ogni parola sarebbe superflua. L’uomo è tutto lì, in quella mano protesa in avanti e in alto, in quel volto scavato dal rammarico per quanto è appena successo e dalla determinazione a cancellarlo al più presto. Perdono.
Parlo di Gianluigi Buffon, sacerdote (come diceva Gianni Brera) della dea Eupalla, portiere della Juventus e della nazionale. Siamo al termine della partita Juventus-Lecce del 29 aprile u.s. Ha appena commesso una papera da portiere di una squadra di dilettanti allo sbaraglio: un squadra che ha come centravanti Ugo Fantozzi. Chiede scusa. Senza smancerie, con la fermezza di chi sa di meritare un pieno assenso a quella sua richiesta. Gliel’accorderà (grato) anche Serse Cosmi, l’allenatore del Lecce che al momento dell’incredibile incidente sembra abbia morso la visiera del suo berrettaccio da sensale impegnato nella fiera delle vacche di Ponte S. Giovanni.
Ho conosciuto fugacemente Buffon a Marore di Parma, quando faceva il servizio civile nella comunità d’accoglienza per il recupero dei tossicodipendenti nata nelle campagne del Parmense dal cuore e dall’intelligenza di don Luigi Valentini.
Fu in occasione di un incontro del Gruppo Chiesa del Cnca (Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza). In una pausa dei lavori, girellando per gli annessi della residenza comunitaria, riconobbi il portiere del Parma: stava scartavetrando e ridipingendo delle vecchie persiane.
Scambiammo le solite, scialbe quattro chiacchiere, delle quali ovviamente non ricordo nulla.
Accadesse oggi quello che accadde allora, gli confiderei: “Sai, Gigi: noi, preti e laici del Gruppo Chiesa del Cnca, stiamo approfondendo un tema che potrebbe risultare interessante anche per te”.
L’approfondimento di quella giornata era condotto da dom Franco Mosconi, monaco camaldolese dell’eremo di Bardolino. Tema: “Il paradiso è pieno di peccatori”.