Come fa un eugubino, in un giorno come questo, a ‘parlare d’altro’? La Voce arriva ai suoi abbonati proprio il 16 maggio, quando Gubbio festeggia il suo sant’Ubaldo: come fa un eugubino a ‘parlare d’altro’? Quel 16 maggio 1160 era il lunedì di Pentecoste. Pelle e ossa. E tanto dolore. Da cinque anni Ubaldo era a letto con una malattia dolorosa e fastidiosissima: il corpo gli si era coperto di migliaia di pustole minutissime, che secernevano una specie di siero lattiginoso, denso, nauseabondo: dovevano cambiargli la biancheria anche cinque volte al giorno, e i vari capi s’integhivano subito. Eppure in quei cinque anni Ubaldo aveva continuato a reggere la diocesi e ad amministrare i sacramenti: come se’uella malattia non esistesse. E il 27 marzo aveva celebrato la sua ultima liturgia pasquale trascinandosi fino all’altare dopo che il console Bambo glielo aveva chiesto, di persona, insistendo, con il cuore in gola e la voce tremante come non mai, e in bocca le parole del Vangelo di Giovanni: ‘Lui ha amato i suoi soprattutto alla fine’.’brSi spense nell’arco dell’intero tempo pasquale. E la gente di Gubbio gli fu vicina in maniera quasi morbosa. Bevevano gli ultimi barlumi della sua luce ineffabile. Quella luce di Dio alla quale gli eugubini avevano opposto per almeno 15 anni il più tenace dei rifiuti. Insulti per strada. Boicottaggio della celebrazioni liturgiche da lui presiedute. Il sagrestano della cattedrale gli aveva spaccato la faccia, no, non metaforicamente, ma lasciandolo riverso in un lago di sangue. Poi un capomastro ignorante al punto giusto, come tutti i capomastri eugubini di tutti i secoli (se li prendi per il verso del pelo, ti dànno il cuore, ma se li prendi per il verso sbagliato’), quel capomastro l’aveva spinto bestemmiando nel liquame di fogna, a bocca all’avanti. Poi tutto era cambiato. Gli eugubini avevano capito; e gli si erano stretti intorno quando le frontiere sembravano cedere; ne avevano accettato la mediazione quando la dialettica politica rischiava di finire a coltellate. E adesso erano tutti lì, intorno al suo letto di tormento e di gloria. Quel giorno, quel lunedì di Pentecoste del 1160, erano tutti lì. Eravamo tutti lì. Trascorsero quattro giorni prima che si riuscisse a seppellirlo. La muraglia di gente che si stringeva al catafalco era letteralmente impenetrabile. Dovettero chiamare la forza pubblica. Quattro giorni per seppellirlo. In realtà, non l’abbiamo mai seppellito.
Quel lunedì di Pentecoste
AUTORE:
Angelo M. Fanucci