“Al Katolikentag è sembrato che i Cattolici tedeschi non abbiano più niente da dire, più niente da dirsi”. Il Katolikentag è l’appuntamento annuale della Chiesa cattolica tedesca. Quest’anno si è tenuto a Ulm, dal 16 al 20 giugno. L’agenzia che ha diffuso quella notizia è un’agenzia faziosetta, ma per quel poco che ho potuto controllare la notizia ha un sua verità. Moto seguito, nell’assise cattoteutonica, sia come numero di presenti (6.000 persone!) che come partecipazione che come eco mediatico lo storico incontro su “Il futuro della Chiesa”, tra il card. Lehmann, presidente della Conferenza episcopale tedesca, e Hans KÈng, il teologo al quale la Santa Sede nel 1979 negò il diritto di fregiarsi del titolo di “Insegnante cattolico”; gli animi si sono infervorati, ma le posizioni si sono sfumate, l’incontro si è mosso in una dimensione più propositiva che polemica, si sarebbe addirittura riaperta la prospettiva della riabilitazione di KÈng. Ma il tema di grande impegno che l’assemblea si era proposto (“Essere segno dei tempi per la società di oggi”) è stato dibattuto stancamente, il programma già stringato è stato ulteriormente ristretto, del Governo federale non s’è visto alla ribalta nemmeno uno straccio di sottosegretario, troppo numerose e significative sono state le disdette di presenze preventivate ab illo tempore. E anche nei temi di solito definiti “scottanti” (il celibato dei preti, la situazione dei divorziati, il ruolo della donna nella Chiesa, la contraccezione) la routine ha prevalso sulla profezia. Ecco, è forse questa la parola giusta: un deficit di profezia. Qualcosa del genere di quanto accade nel dibattito politico italiano: un deficit di profezia. Drammatico a destra, rilevante a sinistra. La profezia, cioè la capacità di tenere vivo e operante, quando si dibatte del bene comune, l’orizzonte ideale e morale sul quale vanno collocati i discorsi che muovono dalle angolazioni più diverse, è insostituibile in ogni progetto umanamente serio, sia in sede laica che in sede religiosa. Uno dei guai più tragici del laicismo più ottuso è proprio qui, nella cancellazione di quell’orizzonte. Ma anche là dove la presenza dell’orizzonte dei valori è fragorosamente strombazzata, occorre fare molta attenzione a che quel fragore non sia strumentale. “L’amico Bush” (così ormai lo chiamano anche nelle osterie di Arcore), col suo incedere marzial/gommoso, deve spiegarci come possono coesistere nei suoi programmi l’antiabortismo sventolato con la guerra preventiva effettivamente praticata, e i proclami in difesa della famiglia con i 4 miliardi di dollari necessari per ri/diventare Presidente. Compito arduo (a volerla dire tutta) anche per il suo allampanato concorrente, col suo profilo di aquila restaurata. Finalino: Bush, Kerry…: Questo passa il convento. Ma non c’era niente di meglio nel convento lì vicino?