di Stefano De Martis
In Danimarca un collettivo di artisti ha pubblicamente annunciato di voler partecipare alle elezioni – che in quel Paese si terranno nel 2023 – con un “partito sintetico” il cui programma è stato scritto attraverso un sistema di intelligenza artificiale, attingendo a tutte le proposte presentate dagli altri partiti dal 1970 in poi. Non si sa se il gruppo sarà in grado di raccogliere le firme necessarie per concorrere a un seggio nel Folketinget.
Resta il fatto di una provocazione politicoculturale che tocca un nervo estremamente sensibile in quasi tutte le democrazie occidentali, ben compresa la nostra, come dimostra anche la campagna elettorale prossima alla conclusione. Che ne è dei partiti delineati dalla Costituzione? All’articolo 49 si legge che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Ma oggi sulla scena si vedono soltanto leader impegnati in singolar tenzone contro altri leader, e molti elettori – bisogna riconoscerlo – hanno ormai profondamente introiettato questo schema.
La personalizzazione della competizione politica non è certo un fenomeno nuovo, se è vero che la crisi dei partiti di massa solitamente viene datata agli anni Ottanta del secolo scorso (“Tangentopoli” esplode subito all’inizio del decennio successivo, anni Novanta). Il fenomeno però si è estremizzato in tempi più recenti, nel solco di quella dinamica epocale che va sotto il nome di “disintermediazione”.
Riconducibile in larga misura alla rivoluzione digitale, questa dinamica ha messo fortemente in discussione tutti i corpi sociali che si definiscono appunto “intermedi”. Se alcuni ambiti hanno saputo esprimere una notevole tenuta e capacità di rigenerazione, basti pensare alle realtà del terzo settore, nel campo specificamente politico il processo ha avuto esiti destabilizzanti, come dimostrano la caotica volatilità delle scelte elettorali e le parossistiche oscillazioni del consenso. In assenza di partiti con un effettivo radicamento popolare, da almeno una decina d’anni (e forse si potrebbe anche risalire più indietro) i leader temporaneamente vincenti vengono bruciati uno dopo l’altro in rapida successione, dopo aver catalizzato attese “messianiche” regolarmente smentite dai fatti. Un andamento in cui le responsabilità personali contano, certamente, ma la questione ha assunto un carattere di sistema.
Il punto è che per far fronte all’immensa complessità dei problemi in cui siamo immersi non bastano leadership autorevoli e credibili, che pure sono evidentemente indispensabili. Occorre infatti essere consapevoli che, senza una mobilitazione di tutte le energie del Paese, senza un’onesta convergenza d’intenti – pur nella varietà delle posizioni politiche e delle istanze dei territori –, non è realistico immaginare soluzioni efficaci e durature.
Come si verifica ogni giorno di più anche a livello internazionale, la solidarietà è una risorsa di cui non si può fare a meno. Chi sostiene di potersela cavare da solo, o è un illuso che inganna i suoi tifosi, oppure è un giocatore d’azzardo che scommette in una partita pericolosa. Dentro e fuori il suo Paese.