Diversamente dagli altri tempi liturgici, che iniziano tutti di domenica o con le solennità da cui prendono il nome, la Quaresima prevede una specie di prologo alla prima domenica: il solenne digiuno delle Ceneri. Capita in un giorno feriale, quando i ritmi della vita non possono essere interrotti, eppure segna un passaggio epocale: il tempo subisce uno scarto, diventa segno sacramentale della nostra conversione. Ciò che il nostro cuore indurito e distratto non riesce mai a fare, è ora a portata di mano. Possiamo volgerci a Dio e lasciarci cambiare in modo che ogni nostro momento, ogni nostro gesto tragga da lui origine e compimento.
Il digiuno che le Ceneri ci mettono davanti serve a percepire nella concretezza della carne questo stacco reale quanto intangibile: siamo entrati in un’altra era, questa Quaresima segnerà la nostra conversione. Qui e ora, nell’ordinario ritmo delle cose di sempre, ci volgeremo a Dio e Dio farà di noi un’umanità nuova. La Quaresima non è dunque un tempo di mortificazione, ma di gioia: niente può tenerci lontano da Dio, e la nostra povertà è il luogo dove Lui può dimorare. Basta fargli spazio: digiuno (cioè rinuncia a sentirsi sazi di ciò che ci possiamo procurare: beni, affetto, risultati, ecc.), preghiera (perché il cuore affamato si leva a Dio e attende da Lui il cibo necessario) e misericordia (perché Dio riversa nei cuori di chi grida a Lui il Suo stesso amore) sono gli strumenti che allargano il nostro cuore e lo liberano da tutto ciò che ci intralcia nel cammino della piena comunione con Dio. Quando arriva, allora, la prima domenica di Quaresima dovrebbe trovarci già con il cuore sintonizzato sulla gioia che ci è posta innanzi: abbiamo fatto un digiuno (ognuno come può, ma lo abbiamo fatto) e da qualche giorno abbiamo sintonizzato i pensieri sul nuovo tempo che viviamo. La la nostra conversione è a portata di mano, il Signore ci dona il suo Spirito per riconciliarci e rinnovarci.
Tutti gli anni, pur nelle diverse versioni, la prima domenica di Quaresima è caratterizzata dal Vangelo che racconta le tentazioni di Gesù nel deserto. Al contrario degli altri due Sinottici, Marco è stringatissimo: sull’episodio offre poco più che un cenno, eppure fondamentale, inserito in una specie di elenco veloce dei primi avvenimenti della vicenda di Gesù.
Gesù va nel deserto sospinto dallo Spirito che ha ricevuto nel battesimo e viene tentato. Gli altri evangelisti ci aiutano a capire che queste tentazioni riguardano la natura della missione di Gesù: era venuto da Dio per salvare gli uomini, ma come sarebbe accaduto ciò? Gesù discerne nello Spirito quale sarà lo stile della sua vita, comprende nella fame e nella solitudine ciò che il Padre gli chiede, e si lascia plasmare come Figlio obbediente. Solo a questo punto, unito al Padre nei sentimenti e nei desideri, può annunciare che il regno di Dio è vicino: lui è talmente una cosa sola con il Padre, dove si trova Gesù anche il Padre è presente e il Regno è vicino.
Tutto questo però è rivolto a noi. Nel nostro battesimo condividiamo la stessa figliolanza che Gesù ha vissuto, e quindi con lui attraversiamo la tentazione, la spoliazione, la morte (tutta cioè l’ordinaria e straordinaria fatica che la vita ci riserva), approdando con lui alla vittoria della vita e della resurrezione: “Quest’acqua, come immagine del battesimo, ora salva anche voi. Non porta via la sporcizia del corpo, ma è invocazione di salvezza rivolta a Dio da parte di una buona coscienza, in virtù della risurrezione di Gesù Cristo”. Non c’è più nessuna condanna, dunque nessuna devastazione come nel racconto del Diluvio, ma c’è un’alleanza eterna tra Dio e gli uomini, un’alleanza compiuta nella carne di Gesù, Uno con il Padre e Uno con noi.
Per vivere questa perfetta figliolanza, questa unità con Dio e questa solidarietà con i fratelli, Gesù comincia con quaranta giorni nel deserto, esposto alle tentazioni, per far emergere – quando non c’è niente altro su cui distrarsi e a cui dedicarsi – il mistero della propria vita e il segreto del proprio cuore. Così, similmente, ci è data la Quaresima: un’opportunità gioiosa per fare spazio in noi, guardare ciò che siamo in verità, lasciarci inondare dallo Spirito e assumere così i lineamenti di Cristo. Può accadere, nella concreta vicenda di ogni giorno; è questo il tempo favorevole. Davvero “buono e retto è il Signore, che indica ai peccatori la via giusta, guida i poveri secondo giustizia e insegna ai poveri la Sua via”.
Mi si apre il cuore leggendo che la pensate come me, non è facile condividere con un cristiano il pensiero che il tempo di quaresima è un tempo di gioia un tempo forte di conversione, tutti pensano che in quaresima bisogna essere tristi, ma se Gesù è sempre con noi, (anche se viviamo un momento liturgico che ci ricorda la sua passione), il nostro atteggiamento interiore dovrebbe essere di riconoscenza perché Gesù ci ha salvati ,siamo un popolo di scampati alla spada, dovremmo gioire, saltare, ringraziare, no piangerci addosso. E’ sbagliato il mio pensiero o i cristiani sono ancora ancorati a pratiche religiose passate e non sanno gioire della grazia di Dio sempre presente in noi anche nel periodo quaresimale. Mi date un vostro autorevole parere. Grazie. Giusy