È il 7 settembre 2008: quarant’anni fa a Scheggia moriva mio padre, Adamo: 7 settembre 1968, primi vespri della festa patronale. Non so perché, ma di anno in anno il rimpianto per la sua figura moderatamente ironica e silenziosamente paterna, invece che diminuire, come vorrebbe l’implacabile legge del tempo, aumenta. A vent’anni, mio padre (che era del 1894: io sono il quinto figlio, nato fuori piano ma ugualmente accettato, senza riserve mentali) fu uno dei milioni di fantaccini che tutte le nazioni d’Europa mandarono a scannarsi per quella che Papa Benedetto XV bollò come ‘inutile strage’. Per quella che rimase la più sanguinosa di tutte le guerre (9 milioni di morti), fino a quando il record venne battuto dall’orrenda mattanza della II guerra mondiale: 60 milioni di morti. Per quella che rimase e rimane la più stupida di tutte le guerre; ammesso che sia possibile stilare una classifica di stupidità fra una guerra e l’altra. Quattro anni di guerra di trincea; morti su morti; esiti sempre insignificanti. Adamo fece la sua parte, ma non si vergognava di ricordare le volte che aveva pianto, o s’era rannicchiato per recitare il rosario. Anche a Caporetto. E tornò dalla guerra con delle enormi vene varicose che gi fuoruscivano sul davanti degli stinchi.Ad attenderlo non c’era nemmeno la più pallida immagine dell’Italia prospera che gli avevano promesso. Si sposò ugualmente, e il letto matrimoniale era fatto di diverse assi con sotto quattro cavalletti di legno, e sopra un saccone di foglie. Viaggio di nozze. Scheggia, Foligno, Perugia, Scheggia: ritorno in giornata.Il primo figlio morì subito. Il secondo figlio contrasse la ‘polio’ quando aveva pochi anni: per pagare sei mesi di ricovero al Rizzoli di Bologna, per quel figlioletto che nella vita non avrebbe potuto far altro che studiare (e difatti divenne medico), occorsero dieci anni di straordinario: alzarsi alle 2 del mattino, per dieci anni, tranne la domenica, strigliare il cavallo, raggiungere ‘I piscianelli’ dove cavavano la pietra cementizia, trasportarla a piedi al cementificio di Sassoferrato, più di 20 km; e tornare a casa in tempo per aprire il negozietto dove vendeva di tutto un po’: ‘Un quintale di fagioli e 5 kg di zucchero quando cominciai, un quintale di zucchero e 5 kg di fagioli quando chiusi’.Una solfa durata 10 anni 10. ‘brSulla sua tomba scrivemmo: ‘Grazie, buon Dio, d’averci donato un uomo come lui’.
Quaranta anni
AUTORE:
Angelo M. Fanucci