Siamo in un tempo di transizione, e non è la prima volta che la Chiesa affronta questa situazione. Dal Concilio Trullano (692) fino all’inizio del pontificato di Gregorio VII (1073) – per quattro secoli – la Chiesa si trovò di fronte a condizioni completamente diverse da quelle dell’antichità cristiana. Il pensiero, i rapporti erano tutti volti verso il mondo greco-romano, ora la vita e l’annuncio cristiano è diretto verso nuovi popoli germano-romani. Todi era compresa nel Corridoio bizantino, un’esile striscia di territorio che da Ravenna conduceva a Roma, mentre Orvieto dal 568 si trovava sotto il domino dei Longobardi che non erano cattolici ma seguivano il cristianesimo ariano.
I vescovi, in un territorio dove ormai abitava gente almeno nominalmente cristiana, dovevano provvedere alla loro cura pastorale. Dalla città sede vescovile necessitava costituire delle comunità rurali, tenendo sempre come principio l’unità del popolo cristiano. Per questo si stavano affermando le pievanie o plebanati, chiese del popolo, guidate da un arciprete; in diocesi di Todi in certi periodi se ne contavano diciotto. Chiese dove risiedeva un clero più numeroso, dove si celebrava il battesimo e vi era anche il cimitero.
Dalla pievania dipendevano altre chiese, oratoria, installatasi nei fondi e fatte costruire da signori laici. Data l’insicurezza sociale venutasi a creare, si assiste al fenomeno dell’incastellamento: sorgono villaggi fortificati per proteggere la popolazione dedita al lavoro dei campi delle aristocrazie locali. Questo fatto era fonte di problemi pastorali; in seguito sarà motivo di decadenza e corruzione.
I vescovi, almeno all’inizio, facendosi forti della legislazione gelasiana che prevedeva la distinzione dei poteri secondo il Diritto romano, non facevano molte concessioni al signore laico che edificava una chiesa nei propri possedimenti. Durante le feste di Natale, Epifania, Pasqua, Ascensione, Pentecoste e natività di san Giovanni Battista, la messa non veniva celebrata nelle chiese dipendenti, ma tutti i fedeli si recavano alla pieve.
La Chiesa, anche in situazioni così mutevoli, cercava di svolgere la propria missione e ci ha lasciato numerose testimonianze archeologiche, come il Paliotto dell’altare della chiesa abbaziale dei Santi Severo e Martirio (sec. VI-VIII) con dedica del vescovo Teuzo, presule di origine longobarda. È del 708 una lamina di piombo con inciso: Hec sunt reliquie beatissimi Fortunati episcopi et confessoris. Segno di una forte devozione della Chiesa di Todi per questo santo vescovo vissuto nel secolo VI. Luci e ombre in contesti che mutano, ma d’affrontare, come sempre, con la forza della fede e il discernimento dei segni dei tempi.