Scrivo il 30 settembre 2014, festa di san Girolamo, esattamente a distanza di anni 40 diconsi 40, da quando…
Era il 1974. Per tre anni avevamo vissuto in comunità a Fabriano, un gruppetto di persone valide a condividere non tanto l’ideale quanto la vita concreta (compreso il cesso, soprattutto il cesso) di disabili fisicamente anche molto gravi, ma mentalmente validi, a volte pimpanti.
Fabriano ci aveva pressoché ignorato, Gubbio ci voleva, e insisteva. Fu così che un gruppetto di noi, il 17 maggio 1974, giorno dopo la festa di sant’Ubaldo, si trasferì a Gubbio per insediare una nuova comunità sul monte che nello stemma del Comune di Gubbio (“i cinque monti”) è a destra del monte Ingino: il monte Ansciano.
A metà del monte, i Frati minori ci avevano messo a disposizione il vetusto convento di San Girolamo: un mucchio d’ossi. Bisognava riparare qualcosina e rifare daccapo tutto il resto. Ma soprattutto non c’era acqua: una tragedia per una comunità di disabili. Prelevarla con una tubatura chilometrica che partisse dalla località di Coppo, nell’avvallamento tra l’Ingino e l’Ansciano… ci voleva prima una fila di banconote lunga così, poi una fila di tubi da 6 m x 12 cm di diametro lunga più di così. E non ci avevamo un soldo.
A questo punto arrivò Elio Cecchetti (“Elio de Barognola”): aitante, giovanile, impolverato dalla visiera del berretto alla punta delle scarpe. Io non lo avevo mai conosciuto di persona. Pensò a tutto lui. Pagò i tubi di tasca sua (“restituzione a babo morto e sepolto”). Mandò sul monte sopra San Girolamo un suo nipote con una “ruspetta”, la cui benna, inclinata di 45°, scavava il tracciato, e dietro venivano i ragazzi del campo, con in testa Raniero Regni e Marco Marchetti, a portar su a spalla quei lunghi tubi che, prima d’essere messi a dimora, collegati e incalciati, s’impigliavano a ogni momento nella bassa e frastagliata macchia mediterranea.
30 settembre 1974. In un tratto del percorso ripido e scoperto, la “ruspetta” si rovesciò e prese a rotolare verso il cimitero di Gubbio, che l’aspettava a gola aperta. Il ruspista ebbe la prontezza di non saltare giù dal mezzo meccanico, ché l’avrebbe schiacciato, ma si rannicchiò entro lo spazio del posto di guida.
“Rotola, rotola…”: in quel 1974 qualcuno conservava ancora il 45 giri con Il barattolo di Gianni Meccia. “Rotola, rotola”, e andò a fermarsi contro l’unico albero presente in quella plaga spelacchiata come la testa del Duce.
Salimmo con Elio, rincuorammo il ruspista con una fiaschetta di brandy d’accatto. Elio mi chiese: “Che santo è oggi?”. “San Girolamo”, risposi. Elio: “Beh, era ora che facesse qualcosa anche lui!”.