Può capitare di usare la Parola di Dio come trampolino di lancio delle proprie personali elucubrazioni? Poteva capitare ieri, quando la scienza biblica era in nuce. Ma oggi no, oggi non più, oggi non può più capitare, oggi che lo scavo intorno e dentro la Parola di Dio viene condotto con una profondità e un rigore di assoluta eccellenza. E invece capita. È capitato a Corrado Augias, che per la sua Inchiesta sul cristianesimo si è affidato non ad un biblista, ma ad un docente di Storia del cristianesimo, e l’ha fatto con quel taglio preconcetto tipico di tanti ricercatori laici di cose cristiane, gente alla quale già al primo contatto vien fatto di dire: ‘Ma vi dispiacerebbe se la vita avesse un senso definitivo, non caduco, tanto lampante nel suo enunciato quanto faticoso per chi tenta di approfondirne i termini?’ È capitato anche a me. M’è capitato per quasi tutta la mia lunga vita di prete dalla parola facile. Lunga vita, i 50 sono alle viste. Parola facile, maledettamente facile. Tale da esporre chi ne gode (ma ‘godere’ è il verbo esatto?) sia alla tentazione di gratificarsi delle personali elucubrazioni, sia al pericolo di adulterare ulteriormente le elucubrazioni, trasformandole in sproloqui. M’è capitato. Poi, nel 2004, per tutto l’Avvento sono stato ospite del monastero di Fonte Avellana e ho fatto vita comune con quei frati nel cui quotidiano la Parola di Dio domina incontrastata, e la prima di tutte le virtù è l’ascolto. Un Avvento di grazia. Poi quei frati (Salvatore, Alessandro, ma anche Giacomo, il frate/folletto che pazzijava volentieri, coniugando contemplazione e barzellette ‘audaci’, e che sorella Morte s’è preso appena qualche giorno fa) m’hanno messo in mano Parole, Spirito e vita: è un rivista biblica, semestrale, monotematica, che i Dehoniani di Bologna, coordinando i risultati delle ricerche di biblisti seri, o anche geniali, dedicano ad approfondire le parole chiave del messaggio biblico, sul piano teologico e più ancora sul piano antropologico biblico: potere, lavoro, sacrificio’ ‘brE la speranza che quel suo Pane quotidiano e questa sua Parola quotidiana mi convertano s’è fatta più vicina. O forse solo meno lontana. Angelo M. Fanucci