di Pier Giorgio Lignani
Naturalmente, tutti ci auguriamo che il “decreto dignità” produca gli effetti desiderati dal Governo: più assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato, meno licenziamenti, meno contratti di lavoro a termine. Però è sempre bene coltivare un po’ di scetticismo. I fenomeni economici hanno sempre motivazioni economiche, e se si tenta di governarli con divieti, vincoli e penalità, quasi sempre si ottengono effetti contrari. Chi ha una certa età ricorda come andò con la legge del 1978 sull’ “equo canone” degli affitti delle case di abitazione: comportava vincoli così pesanti per i proprietari che era preferibile tenere le case vuote, cosicché chi cercava una casa in affitto, non la trovava. Solo dopo decenni si capì che funziona meglio se si premiano con serie agevolazioni fiscali i proprietari che fanno all’inquilino un contratto equo. Con il lavoro può accadere lo stesso. Già nei lontani anni Settanta gli economisti più attenti (penso a un libro del 1976 del prof. Giorgio Fuà, che suscitò all’epoca un certo scalpore) avevano segnalato che, se si va troppo oltre con i vincoli, si spingono gli imprenditori a evadere dal classico contratto di lavoro per cercare formule alternative meno onerose.
Non è un mistero che ormai perfino gli operai dell’edilizia lavorano con la partita Iva come se fossero altrettanti piccoli imprenditori con un unico dipendente (se stesso).
Perfino gli enti pubblici, per liberarsi dei problemi che derivano dalla gestione del personale, hanno smesso di assumere in proprio lavoratori dipendenti per molti tipi di servizio, e preferiscono dare appalti a ditte esterne. Il punto centrale della questione però è che le norme legali a tutela dei lavoratori e della stabilità del posto di lavoro sono più efficaci, e sono osservate più fedelmente, quanto più il sistema economico nel suo complesso è produttivo; cioè dove le imprese sono più solide, più redditizie, meglio organizzate. Insomma, è vero che non si può ridurre tutto all’economia ma, quando si governa un Paese, è bene ricordare che la giustizia sociale si può avere solo se l’economia va bene.