di Luca Diotallevi
Tra domenica e lunedì, non tanto per la timida voce di qualche vescovo quanto per le convergenti reazioni di giuristi autorevoli e di un po’ di laicato (a cominciare dall’Azione cattolica), il governo Meloni si è smarcato da un disegno di legge proveniente dalla propria maggioranza; e i promotori ne hanno annunciato – solo annunciato – qualche modifica. Il fatto però resta, così come resta il deposito presso la Camera dei deputati della “proposta di legge n. 97, XIX legislatura”. Con questo ddl, opera di alcuni deputati del gruppo della Lega (Furgiuele, Billi, Bisa, Gusmeroli, Pretto), si introduce un bonus di 20.000 euro “destinato ad agevolazioni fiscali per spese connesse alla celebrazione del matrimonio religioso”.
Su un piano giuridico, rendere il matrimonio religioso economicamente conveniente rispetto a quello civile è assolutamente incostituzionale. All’art.3 della Carta si legge che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Per un cattolico, poi, oltre che incostituzionale, la proposta è anche ‘blasfema’ perché aggiunge una convenienza economica a un segno di misericordia che per Dio è gratis. Perfino Giuda, dopo aver venduto Gesù, ebbe l’onestà di capire che il Maestro si donava gratis. A modo suo, Giuda ne tirò le conseguenze. La grazia non costa né trenta denari né 20.000 euro.
Come Chiesa e come credenti, però, non possiamo fermarci qui. Una amara riflessione ci si impone. Come è possibile che in ambito politico si usi con totale arbitrio segni e temi cristiani? Una prima risposta è semplice. Chi agita con sommo arbitrio segni e temi cristiani, a destra come al centro come a sinistra, lo fa perché sa che ci sono nicchie di elettorato disposte ad “abboccare”. Questa però non è ancora una risposta, ma un doppione della prima domanda. Come mai i segni e i temi cristiani sono abusabili? Come mai c’è gente che apprezza questo genere di abuso?
Domenica, in uno dei tanti spettacoli televisivi “leggeri”, le telecamere sono state puntate su una giovane. La giovane è una ex suora che ebbe il suo momento di celebrità partecipando con enorme successo a un talent show per cantanti. Il punto che rileva non sono le scelte di questa persona; a lei non possiamo guardare che con rispetto e affetto. Il punto è altrove. Molto mondo cattolico, tanti ecclesiastici, le superiori della giovane suora amplificarono quel successo mediatico come se fosse un successo pastorale. Se non vogliamo pensare a un calcolo cinico, dobbiamo ritenere che, in buona fede, pensarono che la evangelizzazione potesse passare per performance nei talent show.
La scelta di spettacolizzare la fede, che viene dagli anni ’80, mortificandone contenuti, radici e implicazioni, non solo è alla base di tristi o spericolate parabole individuali, ma anche delle strumentalizzazioni politiche di segni e temi cristiani. Se il cristianesimo è solo spettacolo, la sua capacità di discernimento è sabotata dall’interno. Quando si arriva a questo punto, i segni e i temi cristiani diventano detriti sparsi al suolo, e chiunque può farne ciò che vuole. Se stacchi un fiore dalle radici, ne acceleri la morte e lo rendi inutile. Di quel fiore il primo passante potrà fare omaggio a uno qualunque degli dèi del momento. Una fede sfibrata non resiste agli abusi. Una Chiesa spregiudicata, acconcia a tutto, è destinata a essere gabbata.