Profughi: l’orrore continua

Fiaccolata a Roma per non dimenticare gli ostaggi nel deserto del Sinai. Alcuni sono stati uccisi, altri “rivenduti”, le donne subiscono violenze

Centinaia e centinaia di candele accese sulla scalinata del Campidoglio, altrettante persone e associazioni che hanno chiesto in silenzio (“contro il silenzio della comunità internazionale”) la liberazione dei profughi del Corno d’Africa, da due mesi ostaggio dei trafficanti di uomini nel deserto del Sinai. È la fiaccolata che si è svolta martedì sera a Roma, promossa dal Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), dall’agenzia Habeshia, dal centro Astalli e dall’associazione “A buon diritto”. Vi hanno aderito almeno una sessantina di associazioni e altrettanti parlamentari e volti noti. Il Sir ha raccolto alcune testimonianze tra i partecipanti. “Chiediamo la protezione internazionale, un piano di evacuazione umanitaria e un progetto di accoglienza per circa 300 profughi – ha detto don Mosé Zerai, responsabile dell’agenzia Habeshia, ogni giorno in contatto telefonico con gli ostaggi –. Otto persone sono già state uccise, quattro sono state sottoposte a espianto di organi, una settantina hanno dovuto chiedere ai familiari di pagare un riscatto di 8.000 dollari ma non sappiamo che fine abbiano fatto. Gli altri sono costretti ogni giorno a subire torture, violenze sessuali, vessazioni, e spesso vengono rivenduti ad altre bande”. Don Zerai pensa che agiscano nel Sinai almeno 15-20 bande di trafficanti e, successivamente, sono venuti a conoscenza dell’esistenza di altri gruppi. L’ultimo contatto telefonico, racconta, “è stato con una ragazzina di 15 anni che i sequestratori vogliono vendere ad una clinica per il traffico di organi. Due donne incinte sono state liberate dietro il pagamento del riscatto. Una donna incinta di 5 mesi, invece, ha perso il suo bambino dopo una serie di maltrattamenti e violenze”. L’appello è rivolto soprattutto all’Europa e alla comunità internazionale: “L’Europa non può ritenersi estranea – ha affermato don Zerai –. Questa situazione è dovuta anche alla chiusura delle frontiere per allontanare chi cerca protezione in Europa. Serve una strategia di cooperazione con Egitto e Israele, rispettando gli impegni internazionali assunti nei confronti dei rifugiati. Altrimenti avranno abbandonato queste persone nelle mani spietate dei sequestratori”. In un momento politico delicato per le rivolte di piazza che stanno scuotendo l’Egitto, gli organizzatori della fiaccolata si dividono tra chi spera che questo giovi a favore dei profughi o chi teme invece il contrario: “È possibile che i trafficanti si trovino in una situazione pericolosa, che abbiano paura di essere scoperti dall’esercito schierato tra Egitto e Israele – secondo Cristopher Hein, direttore del Cir –. In quel caso potrebbero decidere di liberare i profughi. Se si formerà un nuovo Governo egiziano, forse qualcuno ascolterà finalmente le nostre richieste, finora mai accolte”. Certo è che in questi giorni c’è un vuoto di interlocuzione politica con le autorità egiziane. Hein e don Zerai hanno riferito di aver incontrato in mattinata tre sottosegretari del ministero degli Esteri: “Abbiamo riscontrato grande interesse da parte loro, ma ci dicono che l’Italia non può agire da sola, deve intervenire anche l’Europa”. Intanto, padre Giovanni La Manna, direttore del centro Astalli (il servizio dei gesuiti per i rifugiati), pensa che “presto arriveranno nuove ondate di richiedenti asilo dalla Tunisia e dall’Egitto. Il flusso è inarrestabile. Siamo sicuri che arriveranno anche tunisini ed egiziani, come sono arrivati gli ivoriani dopo le elezioni in Costa d’Avorio, o dalla Guinea dopo le violenze governative. Servono i tempi necessari per far organizzare le persone: attraverso le ambasciate riescono ad avere dei visti di cortesia e ad arrivare in Europa”.