La decisione di Dino Boffo di lasciare la direzione di Avvenire ha tolto molta benzina al fuoco della polemica ostinatamente alimentata dal direttore de Il Giornale, ma anche al cinismo di quanti hanno cavalcato la vicenda. Dello scontro tra Feltri e Boffo si sono occupate tutte le principali testate. E tutte, con pochissime eccezioni, hanno riportato critiche alla scelta di Feltri di strumentalizzare in questa maniera la vicenda. Peccato che poi siano state esse stesse a speculare sul rancoroso attacco de Il Giornale, sulla pacata difesa di Avvenire e del suo (ex) direttore, sulle numerose prese di posizione che hanno coinvolto gerarchie ecclesiastiche, editorialisti, politici e commentatori improvvisati. Sgombrando il campo dal caso contingente, la riflessione si allarga all’etica e alla deontologia del giornalismo. Non è argomento da salotto, né accessorio di cui si possa fare a meno: per chi esercita la professione giornalistica, le norme della deontologia sono il presupposto imprescindibile del mestiere stesso, insieme ai dettami del diritto e della Costituzione. L’informazione non può sussistere se non è fondata su un sistema di regole che pone il giornalista al servizio della verità, di niente e di nessun altro. Ancora una volta, è in gioco un bene fondamentale per tutti e per ciascuno: la libertà di stampa. Una visione distorta la intende come facoltà di dire, scrivere e diffondere tutto quello che si vuole in nome del mercato e dello show. Il suo principio cardine, invece, è la ricerca della verità dei fatti, che vincola qualsiasi testata giornalistica a declinare il diritto-dovere dell’informazione in una logica di assoluto servizio. Oltre agli obblighi nei confronti della comunità sociale, esiste un dovere ulteriore: i principali giornali nazionali sono infatti sostenuti finanziariamente non soltanto dai lettori ma, soprattutto, dai contributi di Stato. Chi è pagato dalla collettività attraverso i fondi governativi, è quindi tenuto a un servizio pubblico e i destinatari devono fruire di un’informazione “onesta, veritiera e corretta”. Il diritto di critica e di opinione nulla ha a che vedere con l’insulto, il dileggio o l’utilizzo dei media per altri scopi. Le più alte cariche istituzionali – con qualche evidente eccezione – hanno richiamato la funzione democratica dell’informazione. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti, Lorenzo Del Boca, ha parlato di “giorni terribili per la stampa e per i giornalisti che ci lavorano”. Affermando che “la funzione dei giornali, delle radio, delle tv e del mondo web è talmente importante per la vita civile di una comunità da non potersi ridurre a un battibecco dai toni tanto accesi quanto incomprensibili ai più”, Del Boca ha proposto come rimedi “un passo indietro e il richiamo deontologico a una maggiore sobrietà di atteggiamenti”. Non basta. I richiami alla deontologia sono fin troppi e i Codici di autoregolamentazione abbracciano più o meno tutta la possibile varietà dei casi oggetto dell’informazione. Quasi nessuno, però, li rispetta. E molto raramente le istituzioni preposte – a partire proprio dall’Ordine dei giornalisti – si preoccupano di tutelare le regole applicando le previste sanzioni. D’altro canto, sarebbe riduttivo e anche deresponsabilizzante affidare soltanto all’Ordine dei giornalisti il mandato deontologico. Ciascun operatore dell’informazione, in prima persona, deve rispettare l’etica della professione e le regole che la stessa categoria ha scritto e ribadito più volte. Nelle testate d’ispirazione cattolica i valori e i principi sono chiari, ma anche in molte testate laiche è possibile esercitare questa difficile e affascinante professione rispettando i diritti altrui. Soltanto ripartendo da qui l’informazione può recuperare la sua funzione costitutiva. Sempre che noi lettori, ascoltatori, spettatori e internauti rinunciamo a dare ascolto a chi, sotto le mentite spoglie del giornalista, esercita di fatto tutt’altro mestiere.
Professione (in) pericolo
Chi salverà l’informazione? L’attacco a Boffo scuote il giornalismo italiano
AUTORE:
Marco Deriu