Nel nostro tempo in cui le feste riconosciute dal calendario civile sono state ridotte per motivi economici, quella degli apostoli Pietro e Paolo (29 giugno) è destinata a diventare un puro ricordo di tempi andati. Ancora non tanto tempo fa, questa festa metteva in moto iniziative non solo nelle grandi basiliche, ma anche nei piccoli paesi di campagna con manifestazioni popolari. La festa celebra congiuntamente i due Apostoli da sempre, in tutte le Chiese di Oriente e Occidente. Dal punto di vista cristiano, l’immagine dei due Apostoli messi l’uno accanto all’altro, per chi conosce la loro singolare storia, rappresenta un messaggio di straordinaria importanza e profondità. Gli errori e le divisioni, nella storia cristiana, dipendono forse in gran parte dall’aver guardato con “strabismo teologico” l’uno o l’altro. I due sommi Apostoli a un certo punto si sono trovati in contrasto, ma al Concilio di Gerusalemme, il primo Concilio della storia cristiana, si sono dati la mano e l’abbraccio della pace. Da allora la Chiesa è stata sempre la Chiesa di Gesù Cristo come è stata trasmessa da Pietro e Paolo e dagli altri apostoli, Chiesa cristiana “apostolica”, prima di ogni altra determinazione, in cammino verso la piena comunione. Una delle caratteristiche di questa festa, in moltissime comunità ecclesiali, era quella della data delle ordinazioni presbiterali. In questo giorno moltissimi sacerdoti cattolici festeggiano l’anniversario della loro ordinazione. È un giorno speciale, quindi, perché ricorda un momento decisivo della loro esistenza e ciò che li ha segnati per sempre. È motivo di grande tristezza quando nello spazio mediatico vengono evocate vicende di corruzione morale o infedeltà, debolezze e inadempienze. Nella logica dei grandi numeri, vi è sempre un tasso di defezione e cadute. Talvolta questo tasso supera il livello di tolleranza e provoca indignazione, dispetto e tentazione di fuga. C’è però sempre da dire che il clero, sia per la sua selezione, sia per la preparazione culturale, morale e spirituale, sia per l’aggiornamento continuo è una “classe dirigente” che si auto-controlla più di ogni altra e che segue una formazione permanente. Recentemente è stato scritto un bel libro sulle classi dirigenti di un certo periodo storico, e si è potuto osservare che la classe dirigente cattolica aveva un tasso di competenza, preparazione, umanità che non ha confronti. Una delle motivazioni, forse la più banale ma certamente reale, consiste nel fatto che i preti ogni giorno recitano il breviario. E non è solo preghiera, ma un esame di se stessi, un contatto con la Bibbia e con i Padri, un momento di riflessione solitaria, un silenzio dedicato alla programmazione della propria attività. Talvolta si ripete che san Francesco, come lui si è definito, fosse “semplice e idiota”. Quando poi lo leggiamo nei suoi scritti riportati nelle Fonti francescane, osserviamo che aveva una grande cultura biblica e patristica, che gli derivava dalla liturgia sacramentale e delle ore. Con tutto ciò, senza voler fare un’apologetica settoriale e senza voler dividere laici e clero, che appartengono alla stessa comunità e hanno la stessa dignità davanti a Dio, non sarà comunque inopportuno – almeno ogni 29 giugno – ricordare coloro che in quel giorno o in un’altra data si sono stesi davanti a un altare e sono stati “baciati” dallo Spirito santo per una missione di amore e di pace.
Preti: una “classe dirigente” speciale
AUTORE:
Elio Bromuri