Indimenticabili. Non sempre capiti, troppo spesso osteggiati; senza dubbio da rivalutare. Tutti e quattro vissuti tra Ottocento e Novecento. Persone esimie. Si formarono culturalmente nell’ambiente ecclesiastico romano, in epoca molto attenta e impegnata nella cultura, epoca leonina. Sono: don Umberto Fracassini, della diocesi di Perugia; don Francesco Mari della diocesi di Nocera; don Luigi Piastrelli ancora della diocesi di Perugia; don Brizio Casciola della diocesi di Spoleto. Tutti e quattro accusati di modernismo, strana accusa. Ebbene, bisogna distinguere due tipi di modernisti, come scriveva Fracassini: alcuni erano rivoluzionari e sovvertitori, che mettevano in discussione perfino la divinità di Gesù; tra questi bisogna annoverare Ernesto Buonaiuti all’epoca in cui era direttore della rivista Nova et Vetera; altri erano riformatori e tendevano ad adeguare la teologia ai nuovi orientamenti della scienza europea, conciliando il metodo storico con la dottrina cristiana. Dietro le spalle di questi quattro c’erano ingegni formidabili, loro alleati e amici, come il barnabita padre Semeria, un geniale pensatore ed apostolo, di quelli che si incontrano, in ciascun Ordine religioso, uno per secolo. Questo padre Semeria non temeva affrontare i temi della modernità, quali la scienza, la democrazia, la liturgia in lingua italiana, ecc. Altro ingegno formidabile e amico era l’austro-inglese von Hügel, che raccomandava il rispetto assoluto del metodo storiografico elaborato in ambiente tedesco nel secolo XIX, ma contemporaneamente raccomandava l’obbedienza alla autorità della Chiesa che non sembrava, o non era, pronta ad accogliere le nuove esegesi bibliche e agiografiche; vale a dire bisognava obbedire e pazientare, per non rovinare tutto con l’indigesta ribellione. Poi c’era Sabatier, l’autore di una nuova vita di san Francesco, il quale non temeva di mettere in discussione la devozione francescana protetta da troppi, e studiava invece il grande santo come un personaggio vero, documentato, come un uomo in carne ed ossa. Dietro le spalle dei quattro c’erano altri pensatori e scrittori, tutti europei, appartenenti al primo o al secondo tipo di modernismo; i nostri quattro conoscevano bene le loro opere, perché conoscevano e parlavano le quattro più importanti lingue della cultura di allora: tedesco, francese, inglese, spagnolo, per non dire che conoscevano anche le lingue antiche: Mari, per esempio, leggeva i caratteri cuneiformi e scrisse uno studio accurato sulla stele di Hamurrabi. Bisogna insistere che i nostri quattro fecero anche amicizia con gli esponenti europei del nuovo corso culturale, quali Brémond, Loisy, Tyrrell. Pensare che il montefalchese don Brizio avesse dimestichezza con Brémond può, oggi, suscitare sorpresa, ma nei primi anni del Novecento sembrava – giustamente – cosa normale.
Ah, come ha fatto bene il prof. Francesco Di Pilla a organizzare un Convegno di studi intitolato “Gli umbri nella crisi modernista”, svolto recentemente negli ambienti dell’istituto Conestabile-Piastrelli di Perugia! Ha fatto bene, ma bisogna proseguire le ricerche storiografiche, filosofiche e teologiche su questi umbri; bisogna rivalutarli con una saggia revisione storiografica. In breve, dal punto di vista teorico, possiamo dire così: questi quattro si trovarono davanti a un cammino formidabile da percorrere, per risalire dalle spiegazioni storiografiche alle motivazioni teologiche. Cioè: come è possibile saltare dai fatti documentati fino alla Trascendenza, non documentabile alla stessa maniera? Fracassini scelse la via mistica, vale a dire volle risalire a Dio con una intuizione che partiva sì dal basso dei fenomeni, ma li superava infinitamente nei risultati. Francesco Mari, invece, giunse ad una soluzione apofatica: sapeva e riconosceva che Dio c’è, ma non lo riteneva chiudibile dentro parole umane, troppo piccole per contenere l’infinito. Piastrelli si contentò di saltare a pié pari la filosofia scolastica per arrivare alla grazia mediante una liturgia partecipata e una pastorale modernizzata. Casciola fu l’educatore che prefigurò la scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani e, nell’azione pedagogica, realizzò quella libera creatività che è profezia del divino. Ed ora, che dire di quella autorità ecclesiastica la quale non comprese la vera problematica dei nostri quattro, e non poteva comprenderli perché non aveva i mezzi culturali adeguati alla giusta interpretazione di essi? Coloro, i laici come Croce e Gentile, che potevano capire, si astennero dall’intervenire in favore dell’intera corrente modernista e provarono disprezzo per queste diatribe tra preti. In questo nostro tempo, tocca a noi capire meglio queste menti impegnate e tormentate, per far trionfare la giustizia dove fu calpestata.