Nei giorni scorsi si è svolto a Rocca di Papa (Roma) il convegno “Scegliamo questi nostri fratelli come collaboratori del nostro ministero. La preparazione di uomini credenti a diventare presbiterio”.
Il convegno è il terzo dalla pubblicazione della terza edizione degli Orientamenti e norme per la formazione dei presbiteri nella Chiesa italiana, avvenuta nel 2007.
Promosso dalla Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata, presieduta da mons. Francesco Lambiasi, è stato coordinato dal Centro nazionale vocazioni e vi hanno preso parte anche mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno in quanto visitatore apostolico dei seminari e mons. Domenico Cancian come membro della Commissione episcopale per il clero della Cei. I formatori presenti erano circa 120.
Per cogliere il senso e i contenuti dell’incontro, abbiamo intervistato don Andrea Turchini, rettore del Seminario di Rimini.
Quali novità sono emerse al convegno?
“Il convegno non ha portato particolari novità rispetto alle linee presentate nella terza edizione degli Orientamenti del 2007. L’obiettivo era quello di riflettere sulla formazione al presbiterio diocesano, richiamando quella essenziale forma collegiale che il ministero sacerdotale presenta nella tradizione della Chiesa, autorevolmente richiamata dalla Presbyterorum ordinis e dalla Pastores dabo vobis. L’esigenza di un confronto e di un approfondimento di questo fondamentale aspetto della formazione deriva dall’ancora prevalente comprensione individuale della vocazione. In questo senso, il contributo di riflessione del convegno è stato notevole”.
Ha ancora rilevanza la fase di preparazione nei “seminari minori”?
“I seminari minori rappresentano una grande opportunità educativa. Pur essendo molto mutate le condizioni sociali e culturali nel nostro Paese, queste comunità di ragazzi e adolescenti che vivono secondo la prospettiva della sequela evangelica sono un modello educativo significativo che tutte le Chiese particolari desidererebbero avere. Ovviamente occorre prestare molta attenzione alle esigenze educative tipiche dei ragazzi di questa età, ma dobbiamo riconoscere che in Italia esistono seminari minori molto vivaci e con proposte formative molto incisive”.
Come equilibrare la formazione umana con quella teologico-spirituale?
“La grande sfida della formazione oggi è quella dell’integrazione tra le varie aree del percorso. La possibilità di accentuare più una dimensione a scapito di altre è sempre possibile. Proprio nella relazione iniziale di mons. Delpini siamo stati richiamati all’esigenza di permanere in uno sguardo di fede che rappresenta la visione sintetica del percorso formativo. Se tutte le dimensioni della formazione devono essere curate con attenzione, la vocazione rimane un mistero interpretabile solo alla luce della fede, ed è in questa luce che dobbiamo trovare il giusto equilibrio”.
Il segretario della Cei, mons. Crociata, ha ricordato la dimensione particolare e universale del ministero del prete.
“La dimensione particolare e universale è legata alla duplice dimensione della Chiesa, che è universale, ma di fatto vive nelle Chiese particolari. La formazione alla dimensione universale e cattolica della Chiesa avverrà lì dove le comunità ecclesiali (parrocchie, aggregazioni, diocesi e seminari) vivono questa apertura e la comunicano come essenziale all’esperienza cristiana e ministeriale. I giovani che sono in seminario in questo tempo, provocati anche dallo stile di vita della Chiesa – si pensi alle Gmg -, sentono abbastanza naturalmente questa apertura mondiale. Forse è più difficile aiutarli all’impegno quotidiano e perseverante in una realtà locale in cui sono chiamati a tessere e a far crescere, in collaborazione con altri ministeri e vocazioni ecclesiali, un’esperienza di vita cristiana significativa e di ‘alta misura’”.
È utile la presenza di laici tra i formatori?
“Ci sono già diversi seminari in Italia che si avvalgono stabilmente dell’apporto formativo di altre figure, oltre all’équipe dei formatori. Tra i docenti, così come tra i consulenti coinvolti a vario titolo professionale, molti sono i laici che attualmente collaborano alla formazione dei futuri presbiteri. I seminari oggi non sono e non possono essere una realtà chiusa e autosufficiente”.
Cosa dicono i rettori dei seminari sulla “crisi delle vocazioni”?
“Impegnarsi a formare i futuri presbiteri a una spiritualità di comunione, e a una cultura di collaborazione con tutti i ministeri ecclesiali, può portare a un autentico rinnovamento del clero italiano e a una nuova primavera vocazionale. La ‘crisi’ delle vocazioni è sempre prima di tutto una crisi di testimonianza collegiale. Pur riconoscendo la presenza di modelli singolarmente esemplari, occorre lavorare maggiormente verso una testimonianza vissuta come ordine presbiterale caratterizzato dalla comunione e dall’impegno per l’evangelizzazione”.