Tra pochi giorni la frenesia dei preparativi del Natale cederà il passo all’intimità di una festa che è sempre stata “la” festa da vivere in famiglia. Certo, a volte, spesso, si fa fatica a riconoscere cosa stiamo festeggiando. Eppure resta il richiamo all’intimità, agli affetti e all’interiorità, che non perde di significato neppure sotto l’urto della banalizzazione dell’amore di cui il bambino nella mangiatoia è simbolo più alto e allo stesso tempo più vicino all’esperienza umana.
Viviamo in una società che sentiamo aggressiva e violenta, che spinge a chiuderci. Nel presepio c’è la vita di tutti i giorni e il mistero più alto di Dio, che si esprime nella tenerezza di un bambino appena nato davanti al quale possiamo sostare e cogliere il messaggio di amore e di pace che incarna.
L’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha intitolato il tradizionale Discorso alla città fatto nella festa di sant’Ambrogio, “ Autorizzati a pensare ”. Se il Natale rischia di essere trasformato in melassa insipida, la sosta davanti al presepio può essere occasione per tornare a pensare, “non per mortificare il valore degli affetti, dei sentimenti, delle emozioni”, scrive Delpini, ma per evitare “il rischio di lasciarsi dominare da reazioni emotive e farle valere come se fossero delle vere e proprie ragioni”.
Può sembrare strano che sia un vescovo ad invitare a pensare, ma quel bambino che festeggiamo ci parla di un Dio che non fugge le domande (già nell’annunciazione Maria si rivolge a Dio con una domanda) e lui stesso, Gesù, nella sua vita ha fatto domande e ha ascoltato e risposto alle domande degli uomini in un dialogo serrato, nuovo, affascinante. In questi giorni di Natale prendiamoci una sosta per pensare e per gustare il dono che questo bambino porta nel mondo: la pace.
Luca nel suo vangelo racconta che gli angeli annunziarono la nascita del bambino cantando “Gloria a Dio in cielo e pace in terra agli uomini che egli ama”.