Questo inizio dell’anno liturgico giunge arricchito da due proposte, direi da due doni, offerti in modo particolare ai presbiteri delle nostre Chiese d’Italia; doni che ne orientano il percorso di vita in maniera concreta. Parliamo innanzitutto della lettera-messaggio inviata dai Vescovi italiani a ogni sacerdote delle nostre diocesi, al termine della 67a assemblea della Cei, dedicata prevalentemente alla vita e alla formazione permanente del clero. L’altro grande dono riguarda l’Anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco. Esso va dalla prima domenica di Avvento 2014 al 2 febbraio 2016 e ha per titolo “La vita consacrata nella Chiesa oggi. Vangelo – Profezia – Speranza”. Nei primi cinque mesi di ministero episcopale nella diocesi di Terni-Narni-Amelia ho toccato con mano e con meraviglia quanto impegnativa e faticosa sia la giornata dei sacerdoti, specie nelle parrocchie più popolate, dove il prete è “divorato” quotidianamente da esigenze di evangelizzazione, di carità, e da incombenze burocratiche e amministrative. Ho ammirato confratelli che insieme alle loro comunità parrocchiali pregano, lavorano, esercitano la presidenza e l’accompagnamento. “L’amore di Cristo per noi, e di noi per il Signore e la sua Chiesa, è il principio della nostra vocazione e ci riempie di trepidazione nel nostro ministero” (Lettera dei Vescovi ai presbiteri). Ho visto anche tanti confratelli che vivono soli, spesso affetti da individualismo pastorale: anch’essi si sfiancano per il lavoro, ma a volte non gettano le reti secondo il suggerimento del Maestro. Di fronte alle sfide del mondo d’oggi i Vescovi sono convinti che “insieme dobbiamo prenderci cura del ministero del prete perché le fatiche e le prove non spengano la gioia, non stanchino lo slancio missionario, non offuschino la lucidità del discernimento, non impediscano l’intensità della preghiera e la disponibilità all’incontro con le persone”. Quell’insieme è la chiave di volta, il metodo, lo stile del rinnovamento della vita e della formazione dei ministri ordinati.
Una parola che dice comunione, sintonia, condivisione, comunità, fraternità, presbiterio. È stato ribadito che il presbiterio è la “famiglia” dei presbiteri: è lì che essi crescono nella fede e nell’amore per il Signore, si formano, respingono la solitudine, ritrovano il calore di fratelli che si sostengono vicendevolmente. E il presbiterio si ritrova attorno al vescovo, padre e fratello dei singoli e di tutti. La formazione permanente o continua è innanzitutto rinnovamento nella fede e riforma della propria vita; è esercizio di comunione con i confratelli sacerdoti – con il presbiterio, appunto. La formazione permanente è rimodulazione delle motivazioni vocazionali del proprio sacerdozio, ritorno allo slancio del primo amore, forse appannato; affidamento a Cristo sposo, fratello, buon pastore. La formazione permanente di quanti pure sono chiamati “padri” è riconoscere di avere un Padre e di essere amati da Lui, ma è anche scoperta del posto che si ha nel cuore del vescovo, pure lui padre e fratello dei sacerdoti.
Accanto – o meglio insieme – alla fraternità sacerdotale batte il cuore della vita consacrata, quale signum fraternitatis presente nelle Chiese particolari, che deve porsi in dialogo esistenziale con i sacerdoti e con tutto il presbiterio, per uno scambio di doni nell’edificazione della specifica fraternità sacerdotale, non solo in funzione ministeriale, ma testimoniale, nella scia della comunità apostolica radunata attorno a Gesù. Francesco d’Assisi chiede ai suoi frati molto di più: “Francesco voleva che i suoi figli vivessero in pace con tutti (cfr. Rm 12,18), e verso tutti senza eccezione si mostrassero piccoli. Ma insegnò con le parole e con l’esempio a essere particolarmente umili con i sacerdoti secolari. ‘Noi – ripeteva – siamo stati mandati in aiuto del clero per la salvezza delle anime (1Pt 1,9), in modo da supplire le loro deficienze. Ognuno riceverà la mercede (1Cor 3,8) non secondo l’autorità, ma secondo il lavoro svolto. Sappiate – continuava – che il bene delle anime è graditissimo al Signore, e ciò si può raggiungere meglio se si è in pace che in discordia con il clero. Se sarete figli della pace (Lc 10,6), guadagnerete al Signore clero e popolo. Questo è più gradito a Dio che guadagnare solo la gente, con scandalo del clero’”. E concludeva: “Coprite i loro falli, supplite i vari difetti, e quando avrete fatto questo, siate più umili ancora”. (FF, 730). All’inizio dell’Avvento, che tutti possano essere raggiunti dal dono della gioia, filigrana di questo tempo liturgico, ma anche dell’anno della vita consacrata: rallegratevi!