“La giustizia è fondamento dell’unità. Non possiamo avere unità se non abbiamo giustizia”. Così il card. Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, commenta il tema “Cercate di essere veramente giusti” (Deuteronomio 16,18-20), che quest’anno accompagnerà le preghiere e le meditazioni della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, dal 18 al 25 gennaio.
Nel 2019 – ricorda inoltre il cardinale – la Settimana si celebra a 20 anni dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione tra la Federazione luterana mondiale e la Chiesa cattolica.
Quali sono le ingiustizie che più colpiscono e preoccupano le Chiese cristiane?
“L’ingiustizia fondamentale nel cristianesimo sono le divisioni, perché Gesù ha voluto ‘una’ Chiesa (Gv 17,23). In questo senso, come ha detto il Concilio Vaticano II, la divisione è una grande ferita, è contraria alla volontà del Signore, danneggia la Chiesa e danneggia l’annuncio principale del Vangelo. Ritrovare l’unità vuol dire quindi superare anche l’ingiustizia della divisione. Il tema della Settimana viene dall’Indonesia, che è un Paese formato da cittadini di diverse origini, e dove è molto importante trovare l’unità nella diversità e nella giustizia”.
Anche in Europa siamo sollecitati da altre culture che bussano alle nostre porte a causa di guerre e povertà. Il tema della Settimana quest’anno vuole essere un richiamo a essere giusti anche nei confronti di questi uomini e donne?
“Vorrei dire che l’Europa è un Continente che deve ritrovare la sua unità nella pluralità delle culture che esistono al suo interno. L’unità riconciliata. E poi vorrei anche aggiungere che la grande sfida dell’immigrazione è una grande crisi dell’Europa: possiamo risolvere questo problema soltanto con una più grande solidarietà tra i differenti Paesi. E questo manca. In questo senso, la crisi della migrazione è crisi dell’Europa”.
Sono spesso le Chiese a essere in prima linea in progetti di accoglienza e integrazione. Perché lo fanno, e quale messaggio danno all’Europa?
“I cristiani lo fanno perché credono in Dio, e Dio non è soltanto il Dio dei cristiani ma è Dio per tutti gli esseri umani. Come ha detto Gesù nel Vangelo di Matteo al capitolo 25, in tutti coloro che sono malati, che soffrono, che sono bisognosi, Cristo è presente. Aiutare chi è fuggito da Paesi lontani è, per noi cristiani, andare incontro a Cristo. C’è una presenza reale di Gesù Cristo nei poveri, nei bisognosi. Se crediamo che Cristo è presente in questo mondo, dobbiamo vedere la sua presenza in queste persone”.
Se la meta ultima del movimento ecumenico è la piena comunione delle Chiese, a che punto siamo arrivati? In questi anni, ci siamo avvicinati o allontanati da questa meta?
“È difficile da dire. Ed è soprattutto difficile fare un bilancio, perché l’ecumenismo non è un ‘nostro’ compito: il ‘ministro ecumenico’ è lo Spirito santo. Io sono soltanto uno strumento debole. Penso però che siamo riusciti ad avanzare in molte cose, anche se non abbiamo ancora raggiunto la meta, cioè l’unità visibile, soprattutto l’unità nell’eucarestia. Siamo una famiglia, siamo fratelli e sorelle, ma non possiamo partecipare alla stessa tavola. È una grande ferita. Ritrovare questa unità necessita ancora di molto tempo, richiede un lungo cammino. Si tratta, allora, di proseguire con questa visione trinitaria che dice sempre Francesco: camminare insieme, pregare insieme, collaborare insieme”.
M. Chiara Biagioni