di Angelo M. Fanucci
A cosa pensa Papa Francesco quando, non solo nei confronti dei cristiani non cattolici, ma anche delle religioni non cristiane, in particolare l’islam, compie quei gesti d’omaggio che provocano la brucellosi diffusa ad Antonio Socci e la valanga di critiche, in primis l’accusa di… eresia, da parte del coro diretto dal prof. De Mattei?
Alla base della sua valorizzazione di tutte le religioni c’è il Concilio, secondo il quale “le religioni contengono semi, elementi, raggi di verità e di grazia” (Nostra aetate, 2), che “rappresentano la ricchezza dei popoli” (Ad gentes, 11), “possono offrire spunti concreti per la salvezza dei loro seguaci” (AG, 3), non sono in antitesi con il Vangelo, il quale anzi “le purifica, le assume, le eleva”(AG, 11).
Ma oggi tutti le religioni devono assumersi la terapia d’una umanità malata di angoscia: un’angoscia radicale. Drogato di tecnologia, l’uomo di oggi non sa più dove si trova, e quando si guarda allo specchio si domanda: “Chi è quello?”.
In ottobre si è tenuto a Roma un convegno sullo spaesamento, un fenomeno che, insieme alle certezze dell’immigrato, vede crollare anche le certezze di chi dovrebbe accoglierlo. In proposito dovremmo riflettere su quello che, in Frontiere e politiche dell’inimicizia, scrive Achille Membe, filosofo di colore, docente universitario a Johannesburg.
Membe sostiene che il problema fondamentale del mondo di oggi è quello di “fare i conti con quelli che, a qualsiasi titolo, non contano”. Finora si è pensato di risolverlo moltiplicando le frontiere di tutti i tipi, geografiche, sociali, culturali, pseudo-morali. Ma questo nel futuro non sarà più possibile, a causa di incremento demografico (tra 30-40 anni la popolazione africana equivarrà a quella di tutto il resto del mondo), mutamenti ecologici (presto molte zone non saranno più abitabili) e mutamenti tecnologici (già adesso la tecnologia della circolazione delle notizie sta ridicolizzando la sedentarietà).
Torna dunque di estrema attualità la tesi di teologia pastorale che Jean Daniélou, uno dei padri della Nouvelle théologie, formulò negli anni ’40 del XX secolo: “Oggi occorre che i cristiani mettano da parte il proselitismo a tutti i costi, e puntino alla ricerca di un’azione concertata con le altre religioni: ognuna di esse, dall’angolazione che le è propria, esalti gli eventi della salvezza così come il loro mistero impregna la loro storia e la loro attualità, nelle diversità di uomini e di culture”.
Una pre-evangelizzazione terapeutica, appunto. A cura di tutti coloro che ancora pronunciano il nome di Dio nel quotidiano.