Popoli in “catene” per il dio denaro

“Anche oggi il grido di tanti fratelli e sorelle oppressi arriva al cielo. Chiediamoci: arriva anche a noi? Ci scuote? Ci commuove? Molti fattori ci allontanano gli uni dagli altri, negando la fraternità che originariamente ci lega”.

Neocolonialismo, nuova forma di oppressione
e privazione della libertà

Così Papa Francesco scrive nel Messaggio annuale per la Quaresima in cui, nel mettere a tema l’esperienza di libertà dell’uomo, richiama all’attenzione anche sulle moderne forme di oppressione e di privazione della libertà che molti uomini e donne ancora vivono. Tra queste si può annoverare un recente fenomeno che comunemente prende il nome di “neocolonialismo”, ma di cui non si parla poi così diffusamente.

Perciò abbiamo chiesto a padre Giulio Albanese, missionario comboniano e giornalista, attualmente direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Roma, di parlarci di questo fenomeno e delle sue conseguenze, in virtù anche della sua attività missionaria, in Uganda e in Kenya, e di quella da ‘cronista di missione’, nella maggior parte dei Paesi dell’Africa.

Padre Albanese cosa si intende per colonialismo e neocolonialismo?

“Con colonialismo indichiamo quella serie di conquiste, dapprima delle Americhe, poi dell’Africa e di altri paesi, da parte di nazioni del Nord del mondo, che ha raggiunto il suo massimo nell’Ottocento guardando in particolare il continente africano e che si è protratto fino alla metà del Novecento. Dopodiché, negli anni ’60 del secolo scorso è iniziato il processo di indipendenza di quelle che erano le colonie, perché queste hanno affermato il principio di autodeterminazione diventando così indipendenti dalle potenze coloniali. Questo fenomeno della colonizzazione è stato estremamente invasivo e ha causato sofferenze indicibili alle popolazioni autoctone. Emblematico è il caso di quello che oggi noi chiamiamo Repubblica Democratica del Congo, ma che un tempo di chiamava Zaire e ancor prima Congo belga: paese africano la cui popolazione, a seguito della conquista, ha subito una grande sudditanza e una forte esclusione sociale perché il potere era tutto concentrato nelle mani delle forze di occupazione, attraverso lo sfruttamento delle cosiddette commodity (materie prime) di cui ancora oggi è ricchissimo.

E qui vengo al punto: nel nostro tempo siamo passati ad una versione riveduta e ancor più scorretta di colonialismo, il neocolonialismo appunto, per cui apparentemente i Paesi un tempo occupati sono ora indipendenti ma vengono fortemente condizionati dagli interessi economici di diversi attori internazionali. E se nei secoli scorsi erano le potenze occidentali ad occupare i territori, nel neocolonialismo ci sono altri player, oltre l’Occidente, come l’Impero del drago (Cina), la Russia, la Turchia, o economie emergenti come il Brasile o il Sudafrica, che portano avanti una politica, per usare il gergo anglosassone, di exploitation (sfruttamento) delle commodity energetiche ma anche alimentari. Tutto ciò determina ancora una volta una condizione di sudditanza di molti Paesi del Global South (Sud del mondo)”.

Quali sono i Paesi più interessati da questo fenomeno?

“Certamente non solo l’Africa, anche se questo continente è paradigmatico perché risente degli interessi occidentali, come di quelli russi, cinesi e indiani, ma anche Paesi dell’America latina o dell’Oriente, come ad esempio Cambogia e Vietnam. Purtroppo, da parte di diverse nazioni non c’è, evidentemente, attenzione nei confronti della res publica dei popoli. E mai come oggi, soprattutto il mondo cattolico deve coltivare l’‘azzardo dell’utopia’ cioè di una globalizzazione intelligente, segnata dalla solidarietà e dalla fratellanza universale, perché come afferma papa Francesco ‘siamo tutti sulla stessa barca’ e ‘nessuno si salva da solo’”.

Quali sono gli effetti del neocolonialismo?

“Anzitutto quello più evidente è la povertà: a seguito della finanziarizzazione dell’economia abbiamo meno dell’1% della popolazione mondiale che ha una ricchezza superiore al restante 99%. All’interno di questi paesi del Sud del mondo c’è più o meno la stessa percentuale. La differenza qual è? È che non è paragonabile la povertà nel Nord del mondo, per esempio in Europa, nonostante vi sia stato un notevole impoverimento soprattutto del ceto medio, con la povertà del Global South dove c’è un senso di precarietà molto più evidente e le persone sono costrette a fuggire da povertà, guerre, epidemie. Anche il debito estero di questi Paesi è ‘finanziarizzato’, che in linguaggio corrente significa che il pagamento degli interessi è legato alle speculazioni di borsa, aumentando così la dipendenza e la marginalità di questi popoli con il resto del mondo. Un altro male, paradossale, è quello della disoccupazione”.

Perché paradossale?

“Dico paradossale perché in fondo in Paesi come l’Africa tutti dovrebbero vivere come nababbi perché ricco di materie prime; eppure ci sono Stati come quello della Repubblica Centrafricana che, con una popolazione di 5-6 milioni di abitanti, un territorio due volte l’Italia ricco di petrolio, uranio e diamanti per non parlare delle foreste ricchissime di legname pregiato, ha un prodotto interno lordo di 5/6 miliardi di dollari. Una cifra davvero irrisoria se confrontata con il Pil di altre nazioni benestanti. Tutto ciò è aggravato dalle cosiddette guerre dimenticate, quelle guerre che non fanno notizia.  In merito a questo mi tornano alla mente le parole dell’economista e politologo francese Frederic Bastiat, il quale in un trattato sul libero scambio delle merci affermava: ‘dove non passano le merci, passeranno gli eserciti’, che in positivo significa che le politiche regionali a livello economico rappresentano un deterrente contro la conflittualità, ma di converso significa anche che le guerre si fanno proprio per motivi economici, per il dio denaro con la d minuscola”.

Francesco Verzini

LASCIA UN COMMENTO