di Daris Giancarlini
Quando cadrà il Governo? È una domanda che comincia a circolare tra gli addetti ai lavori, dopo gli ultimi accadimenti, politici ed economici. Perché politica ed economia sono sempre più fittamente intrecciate, come hanno dimostrato nei giorni scorsi la marcia indietro del famigerato spread e i buoni esiti della Borsa.
Dopo la cena ‘europea’ del premier Conte e del ministro Tria con i vertici dell’Unione, è bastato che uno dei due leader della maggioranza, il leghista Salvini, pronunciasse una frase con toni moderati e dialoganti (“Non ci attacchiamo ai decimali”, in riferimento alla rimodulazione del deficit che nella manovra è fissato al 2,4 per cento) per far tornare gli indicatori economici e finanziari a livelli meno negativi e i mercati a uno stato d’animo meno ansioso e preoccupato.
Tutto risolto? Forse no
Date queste premesse, con un Esecutivo e una maggioranza che, almeno a parole, sembrano venire incontro alle sollecitazioni di Commissione europea, Banca centrale europea e Banca d’Italia sulla riscrittura della manovra, i ragionamenti su una caduta del governo “Salvini – Di Maio” potrebbero sembrare oziosi e infondati.
Invece ci sono diversi fattori che li rendono plausibili.
Il primo è, nuovamente, economico: a gennaio 2019 ci sarà una maxi-asta di titoli italiani, quelli con i quali l’Italia paga il proprio debito. Ebbene, anche tenendo conto del clamoroso fallimento di quella dei Btp di metà novembre (proposti 7-8 miliardi di euro, acquistati poco più di due), sono a in molti a prevedere il peggio per la vendita di inizio 2019.
Una botta che il Paese potrebbe non reggere. E con il Paese, la maggioranza di governo. Anche perché a disertare le aste dei titoli italiani sono, da qualche mese, soprattutto gli italiani stessi.
Opposte strategie
Un altro interrogativo sul futuro dell’Esecutivo è puramente politico, e riguarda le prossime elezioni per il Parlamento europeo. Quello dell’anti-europeismo è un collante che ha caratterizzato l’improvvisata maggioranza Lega- cinquestelle fin dal suo nascere dopo il voto del 4 marzo, ma che sostanzialmente unisce le due comunità politiche dai tempi dell’opposizione al governo di Mario Monti.
Ora, in tempi di trattativa con l’odiata Bruxelles, i due contraenti del patto di governo potrebbero essere tentati, in vista del voto europeo, di recuperare posizioni differenti: Salvini strizzando l’occhio alla base produttivista e nordista delle piccole e medie imprese, cui la Lega è storicamente legata, e quindi privilegiando scelte che abbiano un aggancio diretto, e plasticamente visibile, con la crescita economica; Di Maio e i grillini non cedendo di un millimetro su quel reddito di cittadinanza che è al contempo la ‘benzina’ del consenso pentastellato e la più consistente bandiera ideologica del movimento.
Chi vivrà, vedrà. Nel frattempo torna in mente la frase di Karl Popper, secondo cui “la vera essenza della democrazia è impedire che i Governi cattivi o incompetenti facciano troppo danno”.