Le letture di una messa di matrimonio, chi le sceglie, gli sposi o il prete? A volte sembra in un modo, a volte nell’altro. E poi non si potrebbe passare subito al rito dell’anello?
Dopo i riti d’introduzione si apre la liturgia della Parola, la quale è bene che venga preparata attraverso la scelta delle letture con i futuri sposi, se il calendario liturgico lo permette. Il rituale propone con abbondanza diversi schemi (composti da tre letture, la prima dall’Antico Testamento con abbinato un Salmo, la seconda dal Nuovo Testamento e il Vangelo) da privilegiare perché sottolineano l’importanza e la dignità del matrimonio nella storia della salvezza.
Inoltre, come sappiamo, nella proclamazione delle letture “Dio parla al suo popolo, gli manifesta il mistero della redenzione e della salvezza e offre un nutrimento spirituale” (Ordinamento generale del Messale romano, n. 55), e “Cristo stesso è presente, per mezzo della sua Parola, tra i fedeli” (ibid.), e dunque, nella celebrazione del matrimonio Dio attraverso la sua Parola si pone in dialogo con gli sposi per illuminare la loro vita.
Una volta conclusa la liturgia della Parola (terminata l’omelia e dopo aver osservato il silenzio), ha inizio la liturgia del matrimonio, che si apre con le interrogazioni con le quali il sacerdote invita gli sposi a esprimere le loro intenzioni di fronte alla comunità cristiana. Il rituale presenta a questo punto due forme per farlo.
La prima, dialogica, nella quale il sacerdote pone tre domande alle quali gli sposi risponderanno con un “sì”, la seconda invece in forma di dichiarazione da parte degli sposi. Entrambe comunque tendono a far emergere i pilastri del matrimonio cristiano e la volontà degli sposi di farli propri. Infatti sia la prima che la seconda forma parlano di libertà, fedeltà, accoglienza e educazione dei figli.
Primo fra tutti è la libertà, cioè che il matrimonio sia frutto di una scelta libera, senza alcuna costrizione, e consapevole. Non può esserci matrimonio se le parti interessate non giungono a celebrare questo sacramento come atto libero nel quale ci si accoglie reciprocamente.
Il secondo pilastro che l’interrogazione sottolinea – prima del consenso – sono la fedeltà e l’indissolubilità del matrimonio: l’amore coniugale infatti vuole dagli sposi la fedeltà per tutta la vita, perché “l’amore vuole essere definitivo. Non può essere ‘fino a nuovo ordine’” (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1646). La fedeltà trova il suo fondamento anzitutto nella fedeltà di Dio alla sua alleanza e di Cristo alla Chiesa, e di questa fedeltà divina gli sposi cristiani sono segno permanente.
L’ultima interrogazione riguarda il dono dei figli e la loro educazione. Agli sposi viene chiesta la volontà di essere aperti alla vita, perché lo stesso amore che si promettono, per sua natura, richiede di essere generativo: “Fin dall’inizio l’amore rifiuta ogni impulso di chiudersi in se stesso e si apre a una fecondità che lo prolunga oltre la sua propria esistenza” (Amoris laetitia, n. 80).
Figli che dovranno essere educati alla fede anzitutto nella famiglia, perché prima Chiesa dalla quale possono ricevere testimonianza.
Don Francesco Verzini