Oltre che luogo simbolico per i valori della pace e del dialogo, piazza della Pace a Terni è anche lo spazio urbano – nel cuore del quartiere “Villaggio Italia” – dove si affacciano vari luoghi di aggregazione e di socialità, come la Cittadella delle associazioni.
Viorica Bunduc è una sociologa di origini rumene, che abita in Italia da oltre vent’anni e collabora come consulente del sindaco Bandecchi in vari ambiti, tra i quali le migrazioni.
“Lavoro nel Terzo settore da più di 15 anni – spiega Viorica – e mi occupo in particolare di migrazioni, di donne, di bambini e ragazzi. Di tutti quelli che hanno bisogno di noi. Per tutti noi arriva un momento della vita in cui abbiamo bisogno di una mano tesa.
Ecco, io cerco di essere quella mano tesa e insieme alle altre associazioni facciamo tanti progetti, anche qui alla Cittadella, dove cerco di dare una mano al Comune come volontaria”.
La dottoressa Bunduc, che molti a Terni conoscono col nome di Viola, è la coordinatrice del laboratorio territoriale Punto di ascolto sociologico, in rappresentanza dell’Associazione sociologi italiani.
“Quando si parla di migranti aggiunge – , tutti tirano fuori i barconi, le guerre ma si parla troppo poco dei dati delle comunità. Qui a Terni, ad esempio, il 62,9% degli stranieri è formato da europei, il 32,3% da rumeni. Poi ci sono albanesi, ucraini e il 14,4% è fatto da africani, il 7,3% da asiatici. Questo ci fa pensare che le politiche sociali da mettere in atto sono diverse da territori con una maggioranza di migranti africani”.
Come si può lavorare per l’inclusione e l’integrazione, chiediamo a Viorica. “Se non teniamo conto dei bisogni e dello scopo con cui i migranti arrivano sul territorio – ci dice la sociologa – , non si potrà mai fare una buona integrazione. Dobbiamo cercare di alleggerire i traumi del migrante che arriva qui, con le sue speranze e aspettative. Anche perché spesso non trova quello che spera. Ma dobbiamo rendere più leggera anche la paura di chi accoglie e ospita, perché le persone vedono arrivare a casa propria altre persone che non conoscono. Ne hanno paura”.
E allora, conoscersi significa anche mostrare la propria identità di origine e le proprie tradizioni. Per questo Viorica è arrivata in piazza della Pace, insieme al marito e alla figlia, con i costumi tradizionali della Romania, il suo paese di origine. “Non è la prima volta che li indossiamo, qui a Terni.
Un paio di anni fa, proprio qui su questa piazza, abbiamo organizzato una festa interculturale, in cui tutte le comunità del territorio hanno partecipato con i propri costumi. Questo rappresenta le mie origini”.
Dalla Romania arriva anche Gina Dumitriu, presidente dell’associazione Fiore Blu, che si occupa proprio di integrazione di chi ha origini rumene sul territorio. “La nostra associazione nasce nel 2008 e il fiore blu è proprio un simbolo per dire che non dobbiamo mai dimenticarci chi siamo e da dove veniamo. Qui a Terni siamo impegnati per la cittadinanza attiva e non solo per l’integrazione. Alla Cittadella delle associazioni siamo partiti con il nostro centro di assistenza, consulenza e informazioni con il volontariato e adesso è riconosciuto dal governo della Romania e dell’ambasciata rumena in Italia”.
Gina spiega che l’associazione si occupa di tante cose, dalle pratiche come le pensioni internazionali e l’assistenza fiscale, fino alla trascrizione degli atti civili. E poi una scuola di lingua, corsi di arteterapia, pittura, artigianato. “Mi ha aiutato tantissimo – spiega Gina – il fatto che sono un’insegnante. E devo dire che qui le nuove generazioni sono molto aperte a quello che significa integrazione e multicultura”.
Se la presidente Dumitriu si occupa della comunità rumena, Esohe Ehigiator guida l’associazione “Arcobaleno e il mare” e si occupa di migranti nigeriani, grazie anche a servizi che permettono loro di non dover andare in consolato a Roma.
“In realtà, la nostra associazione, come altre che fanno parte della Cittadella – spiega Esohe – si occupa di tutte le persone vulnerabili, di ogni età e di ogni etnia. Di solito, non molliamo finché non vediamo che la persona è in grado di camminare con le sue gambe, a cominciare dalle donne e dai loro figli. Tanti bambini mi chiamano ‘zia’ – ci dice contenta perché sono riusciti a crescere grazie all’associazione e alle nostre attività.
E ora guardiamo con grande attenzione e soddisfazione ai giovani migranti di seconda generazione, perché il futuro dei nostri territori e delle nostre comunità è nelle loro mani”.
Daniele Morini