Perugina – Nestlé. Il nuovo piano industriale sia serio e credibile per il futuro di San Sisto

Il Piano verrà presentato ai sindacati il 10 febbraio

perugina-nestleLa Voce ha sempre dedicato molto spazio alla vertenza aperta da mesi dai lavoratori della Perugina con la multinazionale svizzera Nestlé. In un mio articolo pubblicato il 20 marzo scorso, dal titolo “Perugina, un futuro da costruire”, si leggeva tra l’altro: “Nel 2014, a fronte di una dichiarazione di esuberi pari a 210 addetti, la Rsu aziendale ha sottoscritto un contratto di solidarietà biennale, in cui i lavoratori di San Sisto accettavano il principio ‘lavorare meno, lavorare tutti’, permettendo quindi un abbassamento del costo del lavoro e un aumento della competitività dello stabilimento, chiedendo come contropartita a Nestlé la presentazione di un piano industriale di rilancio del brand della fabbrica”.

Questo piano industriale verrà finalmente presentato ai sindacati il 10 febbraio, ma ancora recentemente Nestlé aveva stimato un ulteriore calo nei volumi produttivi del sito nel 2015 (24.500 tonnellate, il più basso della sua storia) e la Rsu e i lavoratori della Perugina, temendo per il futuro dell’azienda, hanno avviato una vertenza “preventiva” sui generis perché Nestlé passi da una strategia di mantenimento a una di sviluppo. La crisi dei consumi è il motivo ricorrente adottato dalla multinazionale svizzera per giustificare il ridimensionamento dei volumi produttivi del sito di San Sisto.

Mi sono voluto documentare, chiedendo all’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane (Aidepi) – che ringrazio per la collaborazione – gli ultimi dati disponibili sui consumi e sull’export dei prodotti dolciari, pubblicati lo scorso 15 settembre.

Nel rapporto Aidepi si legge che la produzione dolciaria italiana in volume nel 2014 è stata di 1.974.000 tonnellate (-0,4% sul 2013), mentre il dato in valore è di 13.278 milioni di euro (+0,1%). Ragionando sui 10 anni, il trend è nettamente positivo (+30,7%): nel 2005 il fatturato era stato infatti di 10.158 milioni di euro. L’Italia rimane il secondo produttore dolciario europeo, dopo la Germania e prima di Francia e Gran Bretagna. Anche l’Istat dichiarava per il 2014 per il comparto “cacao, cioccolato, caramelle e confetteria” un incremento dell’1,2% sul 2013. Per quanto riguarda i consumi dolciari in Italia, la “confetteria” è cresciuta nel 2014 del 3,4%, mentre il “cioccolato” ha registrato un lieve calo: -0,4%. Contemporaneamente si è registrato un incremento dell’export dolciario italiano, che ha raggiunto nel 2014 i 27.148 milioni di euro (+3,5% sul 2013). Nel lungo periodo, il saldo attivo della bilancia commerciale dolciaria è balzato da 856 milioni di euro del 2005 a 1.813 milioni del 2014 (+111,7%). Nel 2005 l’export dolciario italiano era pari al 17,3% della produzione nazionale, mentre nel 2014 tale indice è passato al 23,3%, quasi un quarto del totale della produzione nazionale.

Leggendo questi dati, anche chi non è abituato ad analizzarli per esigenze professionali potrà però facilmente comprendere come le ragioni addotte da Nestlé per giustificare il progressivo ridimensionamento produttivo e occupazionale dello stabilimento di San Sisto e, soprattutto, la crescente marginalizzazione del brand Perugina all’interno del nutrito “portafoglio marchi” della multinazionale svizzera, sia del tutto strumentale e non corrispondente alla realtà di mercato. Del resto, basta girare nei supermercati e nelle pasticcerie per vedere come i prodotti Perugina siano sempre meno presenti, con l’unica eccezione dei Baci. Ma anche per il prodotto-simbolo della Perugina l’attività di promozione sui punti vendita e di comunicazione sui media nazionali è ormai ridotta al lumicino.

Intanto il leader di mercato, Ferrero, azienda rimasta saldamente in mano alla famiglia del fondatore Michele Ferrero, e da sempre fortemente “export-oriented”, continua a investire in innovazione di prodotto e di packaging, in attività promozionali in-store e a fare massicce campagne pubblicitarie su tutti i brand del gruppo e in tutti i segmenti di consumo: dalle occasioni sociali al regalo, dalla prima colazione al fuori pasto.

Pochi si sono accorti del lancio dell’ultimo nato della gamma dei Baci, il Bacio al cioccolato amaro “Fondentissimo” 70%, messo in commercio senza alcun supporto di comunicazione media e nei punti vendita. Una debolissima campagna pubblicitaria è stata fatta anche per il lancio della mousse al cioccolato “NuvolePerugina (che dubito, tra l’altro, sia prodotta a San Sisto); ma pochi spot televisivi non servono a nulla, soprattutto se non c’è in contemporanea una distribuzione capillare nei punti vendita della grande distribuzione, magari con attività di vendita assistita da parte di promoter.

Credo che le istituzioni (ministero per lo Sviluppo economico, Regione, Comune di Perugia, Camere di commercio), le associazioni di categoria, i sindacati, la Rsu e i lavoratori di San Sisto e tutti gli umbri debbano fare sentire in maniera unitaria e forte la loro voce nei confronti dei vertici svizzeri della Nestlé, i soli decision-maker del destino del sito di San Sisto e dello storico marchio Perugina.

Se, come sostengono sempre i loro rappresentanti negli incontri e nei tavoli a Perugia e a Roma, Perugina è per Nestlé un brand strategico, presentino finalmente un piano industriale serio e credibile, che preveda non strategie di mungitura e di ridimensionamento, ma progetti concreti di investimento in innovazione, marketing, distribuzione e internazionalizzazione, come richiede la iper-competizione che contraddistingue il comparto dolciario all’interno del mercato globale.

 

AUTORE: Alberto Mossone